Microstorie di famiglia
Materie, memorie, testimoni
Lumicon 8mm III / 8mm
NOME FONDO | Collezione privata Andrea Di Biase |
PROPRIETARIO | Scafa L. |
IDENTIFICATIVO | 00000001 |
LOCALIZZAZIONE | Italia |
TIPOLOGIA DEL SITO | Abitazione privata |
SPECIFICHE | Soffitta, VIII piano |
COORDINATE | 45.663413, 13.769559 |
DATA DI REPERIMENTO | 22/04/2020 |
AUTORE DELLO SCAVO | Di Biase A. |
DEFINIZIONE | Cinepresa |
TIPOLOGIA | Reflex |
CATEGORIA | Ottica |
ANNO | 1956 |
MARCA | Lumicon |
MODELLO | 8 III |
N. SERIE | 60404 |
MISURE E PESO | 5 cm (L)x 15 cm (H)x 13 cm (P) /1690 gr |
La collezione
Il fondo Di Biase comprende 27 filmati amatoriali in formato 8mm realizzati tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. La collezione raccoglie film omogenei dal punto di vista stilistico, essendo stati realizzati principalmente da un solo individuo, ed eterogenei dal punto di vista tematico, raccontando diversi aneddoti della vita quotidiana del cineasta dilettante: “il potere, che questi film hanno di rappresentare e raccontare il sé, non corrisponde mai a un progetto artistico e autoriale strutturato, ma si manifesta in modo embrionale e, in un certo senso primitivo. In altre parole, i cineamatori sono e restano tali” (Cati, Pellicole di ricordi, 2009). La collezione è stata inventariata, documentata, catalogata e sono state raccolte una riedizione video antologica del materiale e una testimonianza orale del proprietario.
Microstorie di famiglia. Materie, memorie e testimoni
di Andrea Di Biase
La scelta della cinecamera Lumicon 8 III appare in prima istanza casuale. Eppure, scavando a fondo, le ragioni ci sono. In seguito ad un trasloco da parte dei miei nonni, sono state rinvenute tre bobine con filmati 8 mm. Ritrovandoli, mia nonna si è ricordata di aver conservato anche la cinecamera con il quale sono stati registrati, oltre che a diversi altri filmati. All’interno della congiuntura del Covid 19, mi è stato impossibile cercare di reperire i materiali di mia iniziativa. E così, dopo alcune insistenze, ho convinto mia nonna a completare il ritrovamento degli altri filmati e della cinecamera al posto mio. Il micromovimento compiuto da mia nonna per la ricerca, che ha messo in discussione lo spazio domestico, ha fatto riemergere in superficie, in modo concreto, il ricordo dei filmati. L’atto del trasloco compiuto dai miei nonni, ha fatto sì che si mettesse mano a quell’archivio domestico che ha fatto riemergere prima i tre filmati e successivamente il resto del materiale. Le bobine sono state rinvenute in una borsa in pelle che mia nonna ha acquistato per il suo viaggio di nozze e che conserva da allora. Per quanto riguarda invece la Lumicon 8 III, comprata e usata da mio nonno, il proprietario attuale della camera, si può dire che è stata conservata in cantina in maniera impeccabile, nonostante siano passati molti anni. Da quella cantina, dalle mani di mio nonno, è passata a me. E qui, soppesando e rigirando tra le mani l’oggetto, viene spontaneo chiedersi: a quale scopo? Forse perché nonostante i media siano cambiati, non ci si è dimenticati di tutto quello che quegli oggetti materiali hanno rappresentato. La camera, citando lo storico austriaco Hermann Langbein, «non si è voluta togliere di mezzo, non ha voluto sopprimere il testimone che poteva diventare» (Adler, Lagbein, Lingens, 1994). A suo modo e al pari delle pellicole che ha impressionato, come afferma Giorgio Agamben, «ha vissuto qualcosa, ha attraversato fino alla fine un evento e può dunque, renderne testimonianza» (Agamben, 1998), arrivando fino ad oggi a me, nelle mie mani.
Non diversamente, il solo tenere in mano le bobine 8mm, registrate con quella camera, che conservano i filmati di famiglia, ha indotto mia nonna a ripensare a tutti i ricordi in esse contenuti e le ha suscitato il desiderio di rivederli. Il desiderio è divenuto condivisione e anche mia madre, dopo aver rievocato i vecchi tempi, probabilmente spinta dalla nostalgia e dalla voglia di ricordi, ha iniziato a guardarne alcuni, coinvolgendomi infine nella visione.
A questo punto, ritengo che non sia stata soltanto una scelta casuale. Senza contare che a livello inconscio, il trasporto nei ricordi, da parte di mia madre e mia nonna, ha originato in me una certa curiosità per quello che quel materiale ha rappresentato. In questo modo, gli oggetti materiali sono divenuti oggetti della memoria, a loro volta stimolo per ulteriori testimonianze ma anche per inedite indagini.
Come sia stato possibile visionarli è presto detto. I filmati sono stati riversati su un supporto digitale (DVD), proprio per evitare che i preziosi ricordi di famiglia andassero perduti. Se non ci fossero stati questi DVD non ci sarebbe potuto essere questo tipo di incontro, la comparazione dei ricordi e la trasmissione della memoria familiare condivisa con mia madre e mia nonna non avrebbe mai avuto modo di esistere.
C’è però l’altro lato della medaglia da considerare. C’è da tenere in conto come questi filmati di famiglia sono stati riversati. Il passaggio da pellicola amatoriale, famigliare, a VHS o DVD è stata una delle principali fasi della distruzione del cinema. I filmati di famiglia, in questo caso su pellicola 8mm, venivano riversati e poi gli originali tendevano all’oblio, avendo trasferito le immagini sul supporto digitale. Inoltre, il come sono stati riversati, ci porta a pensare al fatto che il DVD stesso rappresenti una copia in tono minore, rispetto a quelli che erano i segnali e le informazioni sul supporto originale.
Microstorie di famiglia. Materie, memorie e testimoni
Lo spazio degli home movies tra la visione e il ricordo
La presentazione del fondo
Il fondo Di Biase comprende 27 pellicole di filmati amatoriali in formato 8 mm, realizzati tra gli anni sessanta e gli anni ottanta. Le pellicole si possono classificare in due macrocategorie e contengono: fatti monografici (Daniela a 7 mesi, Comunione di Gabriella 1, Saggio Gabriella 1988, Comunione di Gabriella 2, Daniela a 10 giorni, Daniela chiesa); vacanze (Giugliano 1962, Isolotto S. Martino, Sapri 1978, Positano 1989 (1°), Amalfi 1991, “La Gattarella 1979”, Estate 1979, De Rosa, Capri, Capri 2, Albero Bello, Riccione, Milano 1968, Pasqua a Trieste, Capri 3, Palinuro 1977, Roccaraso, Cortina, Giugliano 13/05/62, Positano (2°), Gattarella ’80) (vedi i due esempi figura 2-3). Per il report preliminare_semplificato_DiBiase vedi figura 4. Per visualizzare tutte le schede del fondo vedi l’appendice semplificata n.1. Vedi l’appendice n.8 per la filmografia.
Tutte le pellicole sono state descritte e catalogate seguendo i protocolli d’archivio. «Tutte le informazioni che l’Archivio raccoglie – descrizione semantica, descrizione tecnica, dati storico-biografici, dati generali sul fondo, ecc… – fanno parte di quella grande ossatura informativa dell’Archivio che è il catalogo» (Simoni, Torri, 2011, p. 268). Io personalmente ho compiuto ciò che normalmente fanno gli archivi, ai quali gli amatori consegnano collezioni private di cinema familiare. Di solito queste consegne arrivano da una «[…] strategia di raccolta principale, inaugurata nel 2005, che si fonda su appelli pubblici in aree territoriali specifiche per invitare le persone a portare i loro film» (ivi, p. 267).
Con i reperti in mano si procede nella fase di catalogazione con l’inventario che, come sostiene Wheeler è: «The first phase […], the collection of metadata and the photographic documentation of all the materials. There must be a check and documentation of the state of conservation for all the devices» (Bordina, Venturini, 2013, p. 267). Le informazioni utili per l’analisi strutturale del materiale sono: il formato del film, l’aspect ratio, il formato e il sistema per la registrazione della colonna sonora, il formato delle perforazioni, il tipo di emulsione e il sistema colore, il tipo di elemento, il supporto, le informazioni reperibili sul bordo del film, segni di modifica (se ne sono state fatte), i metadati (come etichette o note) e i documenti riguardanti la vita e la storia culturale dell’oggetto.
L’identificazione e la catalogazione
La catalogazione è avvenuta secondo le linee guida del manuale FIAF. Secondo il manuale, le informazioni devono essere ottenute dalle fonti, primarie e secondarie. «Primary sources include information on the actual item itself. For example, for film materials, titles and main production credits are transcribed from the frames usually in the opening credits» (Fairbairn, Pimpinelli, 2016, p. 12). In questo caso, per quanto riguarda le fonti primarie, le pellicole erano sprovviste sui frame di titoli di testa e di coda, trattandosi di materiale realizzato da un cineasta dilettante. Nello specifico, dividendo la struttura del film in tre aree: area dell’immagine, area del suono e area delle perforazioni, si procede all’identificazione del formato del film. L’aspect ratio è 1:1:33 in quanto il fotogramma occupa interamente lo spazio tra le perforazioni (Full aperture). La traccia sonora, è assente, in quanto i filmati sono muti. L’identificazione ha permesso di identificarli come 8 mm. È presente una sola perforazione su un lato tipica delle pellicole formato 8 mm standards. Misurando la larghezza della pellicola si può vedere come la misura corrisponde a 8 mm di larghezza, che è la larghezza tipica delle pellicole 8 mm e super 8 mm. Nella maggior parte dei casi, per gli home movies si è sempre utilizzata la pellicola formato 8 mm e super 8 mm. Se ci fossero però ancora dubbi sul tipo di pellicola di cui si tratta si possono osservare meglio le perforazioni, che sul super 8, rispetto a quelle dell’8, sono più piccole e strette. Inoltre, la bobina sul quale i filmati sono avvolti presenta un foro che ha un diametro di 8 mm. Sulle bobine dei super 8 questo foro ha un diametro di 13 mm. I super 8 sono presenti solamente dal 1965, mentre diversi filmati presentano date ancora meno recenti al ‘65, e confrontando tutte le pellicole risultano tutte uguali fra di loro per quanto riguarda l’area dell’immagine, delle perforazioni e del suono. La scritta “Safety” poi ci fa capire che si tratta di un supporto in diacetato, supporto più sicuro del nitrato di cellulosa, ritenuto invece troppo pericoloso e facilmente infiammabile.Inoltre, si tratta di tutti filmati invertibili, che come ricorda Giulio Bursi «in fotografia e in cinematografia sono detti invertibili i materiali in grado di produrre direttamente un’immagine positiva a seguito di un trattamento di inversione […] oppure: pellicola che esposta alla luce e appropriatamente sviluppata, restituisce un’immagine che è un positivo» (Bursi, 2011, p. 293).I titoli dei film, leggibili ad occhio nudo, sono stati scritti sul coperchio e sulle etichette incollate sulla bobina. In questo caso il titolo assegnato è stato scritto dal proprietario dei materiali con un pennarello. Soltanto una delle 27 bobine era sprovvista di titolo e nella scheda di revisione è stato inizialmente catalogato con la dicitura “Senza titolo”, ma successivamente, dopo aver visto il contenuto e discusso con il proprietario, ho deciso di assegnargli io stesso un nome: “Pasqua a Trieste”. Le pellicole sono sprovviste di scatola, ma è comunque possibile stabilire chiaramente che si tratta di pellicole di marca Ferrania e marca Kodak. La marca è scritta sulle pellicole ma si trova anche su alcune bobine (vedi appendice semplificata n.1).
Un primo sguardo
La collezione detiene film omogenei dal punto di vista stilistico, essendo stati realizzati principalmente da un solo individuo, ed eterogenei dal punto di vista tematico, raccontando diversi aneddoti della vita quotidiana del cineasta dilettante. Gli home movies si concentrano principalmente sulle ricorrenze familiari quali compleanni, cerimonie e vacanze, risultando spesso somiglianti tra loro. Ma è un fatto del tutto comune se si pensa che «[…] il potere, che questi film hanno di rappresentare e raccontare il sé, non corrisponde mai a un progetto artistico e autoriale strutturato, ma si manifesta in modo embrionale e, in un certo senso primitivo. In altre parole, i cineamatori sono e restano tali» (Cati, 2009, p. 8). I filmati sono stati registrati in larga parte dal proprietario della Lumicon 8 III. In alcuni casi però, il cineasta deve aver affidato temporaneamente la cinecamera ad una persona fidata per apparire anch’egli nelle riprese. Ma il film amatoriale, come afferma Alice Cati, «acquista senso solo alla luce dell’evolversi della passione per il cinema, coltivata dal dilettante nel corso della sua vita. In questo modo i confini del campo in cui si muove l’amatoriale diventano mobili e incerti» (ivi, p. 7).
Uno sguardo più approfondito
Procedendo nell’organizzazione dei materiali, è emersa la possibilità che oltre alle bobine che attualmente costituiscono il fondo, potrebbero essercene altre rimaste tuttora disperse. Tale eventualità è stata ritenuta plausibile da due indizi in particolare: il ritrovamento di una bobina vuota tra i materiali e la dicitura nei titoli di coda di una riedizione realizzata da mio padre che nei ringraziamenti scrive: “La rielaborazione e la composizione di questi filmati in formato Otto e Superotto non vuole essere un’opera tecnologica ma rappresentare solo il ricordo del passato e delle persone a noi care” (vedi figura 39). Questi due elementi lasciano presumere che, in qualche altro luogo, siano presenti altre bobine in formato super 8 mm, oltre che ad altre sempre in formato 8 mm. Nuovi materiali arricchirebbero sicuramente la collezione.
È importante tenere in considerazione il luogo di conservazione delle 27 bobine: la borsa in pelle. Una volta infatti i film privati in formato Pathé Baby venivano conservati all’interno delle scatole di biscotti, appositamente svuotate. Tutto questo prima che la Kodak assumesse il controllo totale sugli stabilimenti della pellicola vergine per il mercato europeo. Scrive Mirco Santi: «Accanto alle confezioni artigianali di vini e liquori e alle immancabili scatole di scarpe, i contenitori più vari custodiscono queste preziose reliquie: dei residui di ricordi conservati su un supporto in diacetato» (Bursi, Venturini, 2011, p. 275).
La borsa è stata conservata nel migliore dei modi, e ciò ne lascia intendere il profondo attaccamento della proprietaria per la suddetta, così come per i filmati in essa contenuti. Tenendo bene a mente l’enorme cura con il quale i materiali sono stati trattati e conservati, appare però arduo credere all’esistenza, anche se plausibile, di altri materiali. Ho avuto modo di parlare con i diretti interessati. Dalle memorie dell’autore della riedizione, mio padre, c’è il ricordo di aver ricevuto dal proprietario due diversi formati di pellicola. Vista però la scarsa conoscenza del rieditore in questo ambito, l’utilizzo nei ringraziamenti dell’espressione “Super 8 mm” potrebbe anche essere un’errata generalizzazione del materiale al tempo in suo possesso. Dalle memorie del proprietario della cinecamera, mio nonno, non è emerso invece alcun ricordo di un’altra cinecamera in grado di funzionare con pellicole formato super 8 mm. Non è possibile inoltre accertarsi dell’esistenza di altre bobine perché non è presente alcun tipo di prova concreta quali documentazione scritta e fotografica.
La cinecamera Lumicon 8 III
La camera Lumicon 8 III è di colore grigio perlato ed è stata prodotta dalla Lumicon a metà degli anni cinquanta. La marca è ben presente sul lato della cinepresa. Di difficile reperimento sono state le informazioni sull’azienda che l’ha prodotta. Si presume che attualmente si sia specializzata nella produzione di filtri astronomici, dopo che varie ricerche in rete mi hanno condotto sul sito web https://www.opticalstructures.com/. La Optical Structures Incorporated sostiene di essere la società madre di Astrodon, Farpoint, JMI e Lumicon. Ho mandato loro una e-mail per chiedere delucidazioni in merito, ma ad oggi non ho ancora ricevuto risposta. In particolare, era di mio interesse sapere se tale azienda è la stessa che negli anni cinquanta ha prodotto la camera Lumicon 8 III, per poi spostarsi per interessi economici nella produzione di filtri astronomici.
L’unica fonte da me reperita è una fotografia di un volantino della camera che ne illustra le caratteristiche principali (vedi figura 6). Tale documento è in lingua olandese e la foto risulta sfocata, il che rende difficile la lettura delle informazioni. Quello che risulta ben leggibile è il prezzo di 255 fiorini. Convertiti in lire italiane negli anni sessanta corrisponde a circa 41.968 lire. Tenendo presente che mio nonno negli anni ’60 faceva l’impiegato e guadagnava intorno alle 110.000 lire al mese, si può dire che la camera costasse circa 1/3 del suo stipendio.
Una testimonianza orale
Intervistando il proprietario della Lumicon si è cercato di capire come è stata utilizzata la camera e come si presentava durante il suo periodo di attività (vedi appendice n. 7). Le informazioni reperite sono poco accurate visti i ricordi ormai sbiaditi dell’intervistato. Si tratta comunque di un documento importante perché va a costituire una nuova fonte che si aggiunge ai documenti già presenti. Al momento dell’intervista, le bobine ritrovate assieme alla cinecamera erano soltanto 3. In seguito, visto che i ricordi del proprietario riconducevano ad altri materiali, è stata effettuata un'altra ricerca e le bobine entrate a far parte della collezione sono diventate 27, come già noto. Inoltre, questa fonte costituisce la conferma scritta della vicenda che ha portato all’acquisto della cinecamera di seconda mano. È interessante sottolinearlo in quanto l’oggetto, tenuto nel migliore dei modi, potrebbe essere benissimo attribuito a una data più recente, nonostante abbia circa sessant'anni.
Note di conservazione
La conservazione si può distinguere in passiva o attiva. La conservazione passiva consiste nel garantire le condizioni tali da arrestare o almeno rallentare il naturale decadimento dei filmati originali. Secondo le pratiche di conservazione del manuale FIAF, affinché un materiale filmico venga custodito adeguatamente, in primo luogo, bisogna verificare la temperatura d’ambiente. «One Of the first conditions for the preservation of film material is that it should be stored in a relatively cool, and not too moist, atmosphere. Undoubtedly it is more difficult and expensive to create good Storage conditions in tropical regions than in temperate ones» (Volkmann, 1965, p. 19). Affinché tali condizioni siano rispettate, sono necessarie ingenti risorse economiche. Se le condizioni sono favorevoli è possibile anche improvvisare per un breve periodo di tempo, ma a lungo andare può diventare pericoloso per il materiale se le condizioni di conservazione e di cura non sono adeguate. È preferibile possedere un negativo o un duplicato, ma sono accettate anche le copie di proiezione, se sono le uniche copie esistenti del film. È buona norma inoltre distanziare le copie di proiezione dal materiale originale per due ragioni: non si mette in pericolo il materiale utilizzando per errore una copia d’archivio come copia di proiezione; le copie di proiezione sono soggette a temperatura e umidità differenti rispetto a quelle d’archivio. Se poi tali copie vengono conservate in condizioni d’archivio per un breve periodo, le differenze tra le due copie saranno maggiormente visibili.
La conservazione attiva invece raggruppa tutte le pratiche e i procedimenti, gli esami e le selezioni tecniche sui materiali originali. I procedimenti inclusi in questo tipo di conservazione sono: la sorveglianza dei siti, la classificazione del materiale custodito (con la conservazione e l’aggiornamento delle relative schede di catalogazione), la produzione di una copia di conservazione conforme a quella originale (la duplicazione), il trattamento superficiale e il controllo della qualità. Se necessario inoltre si interviene sul materiale con un restauro atto alla ricostruzione di un elemento filmico. Il restauro può essere: tecnico, per l’eliminazione di eventuali difetti o danni chimici; redazionale, atto a riportare il film alla sua forma originale.
Ai fini della conservazione, l’opzione migliore consiste nell’utilizzo di uno scanner adeguato affinché gli 8 mm siano scannerizzati e il loro contenuto in digitale sia conservato alla migliore qualità possibile. Purtroppo, ormai, l’idealtipo della copia completa dei film amatoriali 8 mm è andata irrimediabilmente distrutta nel momento in cui, come affermano Paini e Cerchi Usai, la prima copia positiva di ogni materiale è stata utilizzata per la prima proiezione. L’uso ripetitivo avvenuto attraverso il proiettore l’ha alterata, così come lo scavo dal suo sito iniziale ha fatto sì che: «[…] una parte non trascurabile dell’orizzonte di significato di un film non è più ricostruibile» (Venturini, 2006). Si deve tenere in considerazione però che, nel momento in cui il materiale è stato riportato alla luce è nata una nuova fonte: la riedizione di mio padre, che ha permesso la sopravvivenza dei ricordi. La copia d’accesso è stata ottenuta con il supporto di un proiettore e di una videocamera. I filmati sono stati proiettati su un muro mentre la telecamera ferma su un cavalletto riprendeva. I film sono stati poi montati in un’antologia e sono state aggiunte musiche e dissolvenze secondo il gusto personale del rieditore. La riedizione è stata registrata su un supporto dvd confezionata con un cofanetto (vedi figura dalla 19 alla 21), per essere regalata ai miei nonni da mio padre. Per salvaguardare il lavoro ed evitare che con una rottura o un deterioramento dei dvd il video potesse andare perduto, sono state fatte opportunatamente alcune copie in formato mp4 salvate su differenti hard disk. Al momento quindi esistono, oltre ai materiali originali su pellicola, i dvd e altre copie in mp4 della riedizione.
Microstorie di famiglia. Materie, memorie e testimoni
Ricordi di immagini passate e presenti a confronto
«Le collezioni di filmati amatoriali raccolgono generalmente una serie di episodi filmati della vita di un cinedilettante, della sua famiglia e del suo mileu socio – culturale» (Cati, 2009, p. 59). Diversamente da adesso però, dove la disponibilità tecnica offre straordinarie opportunità e ampi margini di errore, all’epoca dell’analogico era importante tener conto di alcuni aspetti fondamentali. Ad esempio, anche se facilmente reperibile, la pellicola aveva comunque un costo. Per tale motivo andava sfruttata nei momenti importanti e di collettività familiare, così da durare il più a lungo possibile. Nell’epoca del digitale, grazie anche a mezzi tecnici come gli smartphone, quello che filmiamo o scattiamo spesso non viene neanche rivisto dallo stesso autore. Il massimo che arriviamo a concedere a quel materiale è la condivisione sui social network, dove quel filmato o quella foto viene a stento guardato. Siamo ormai così saturi di immagini: sui social, in televisione, sui manifesti o riviste, che non ci soffermiamo nemmeno più ad osservarle. Ho confrontato i ricordi di mia nonna dei compleanni presenti tra i filmati 8 mm con alcuni compleanni più recenti. I dettagli da parte sua sono risultati maggiormente presenti nei compleanni del passato rispetto a quelli di soltanto alcuni anni fa. Forse perché l’individuo tende ad avere una visione d’insieme del suo vissuto e memorizza meglio i ricordi che rischiano più di altri di essere dimenticati. In ogni caso, non ritengo plausibile che per mia nonna gli ultimi compleanni con la famiglia siano stati, rispetto a quelli passati, privi di significato. Anche mia nonna, alla sua veneranda età, possiede uno smartphone e fa parecchie foto e video: a fuoco, mosse, sfocate, sovraesposte, sottoesposte e quant’altro. Ma quante volte si è fermata ad osservare quel materiale? Forse solo nel momento della loro condivisione per pochi istanti. “Tanto sono nel telefonino”: l’ho sentita esclamare alcune volte. E quante volte ha invece rivisto i suoi ricordi su pellicola da quando sono riemersi dalla soffitta? Almeno 4 o 5 volte in pochi mesi. Sicuramente il merito va attribuito anche alla riedizione di mio padre. Mentre però i ricordi su pellicola sono stati conservati, i ricordi presenti su telefono rischiano di scomparire per sempre dato che, la rete non è un luogo sicuro per i nostri materiali. La paura maggiore diventa quindi quella di perdere i contenuti del ricordo e la capacità di ricordare. Secondo la teoria del Datageddon «[…] lo sviluppo delle tecnologie di archiviazione non pare essere adeguato a coprire il convulso aumento di file […] che quotidianamente vengono prodotti e pubblicati sulla rete» (Cati, 2016, p. 173). È quindi senz’altro più sicuro, se davvero ci teniamo ai nostri ricordi, «salvare le informazioni preziose su supporti fisici come fotografie, dvd, fogli di carta per non rischiare di perderle» (ivi, p.174).
Il testo filmico e i suoi racconti
Impronte e biografia di un autore
Secondo Odin, il film di famiglia «è un film realizzato da un membro della famiglia riguardante personaggi o avvenimenti legati in qualche modo alla storia di quella famiglia e a uso privilegiato dei componenti di quella famiglia» (Cati, 2009, p. 60). Ho avuto modo di vedere più volte la riedizione fatta da mio padre e in questi filmati, come ho potuto osservare, «già la scelta dei soggetti o la modalità di ripresa dicono qualcosa del cineamatore» (ivi, p. 63). Perché, potremmo chiederci, è stato ripreso proprio quel soggetto in quel particolare istante? Qual è il contesto sociale in cui ci troviamo? Cosa ci mostrano quelle immagini mentre qualcos’altro ci viene celato?
Per poter rispondere a domande di questo tipo, è stato utile affiancare alle immagini, in prima istanza, tutte le informazioni e i dati che hanno permesso di ricostruire a grandi linee la vicenda della famiglia. Trattandosi della mia famiglia è stato abbastanza semplice potersi confrontare con i testimoni diretti, quali i miei nonni e mia madre.
Il territorio identificato per tutti i filmati è quello italiano, quale luogo di nascita e origine del cineamatore. Per la datazione è stato semplice perché sapevo che la riedizione ricostruiva un’antologia della famiglia. La data di partenza è 1964 poiché il filmato di apertura è quello di mia madre molto piccola intitolato Daniela a 7 mesi, che è l’anno di nascita di mia madre. Invece, la data di chiusura del rilevamento è 1989, anno del matrimonio di Daniela, dopo il quale la famiglia non è più andata in vacanza tutta assieme. Di seguito, la biografia del cineamatore ne delineerà a grandi linee la figura autoriale.
Lucio Scafa, impiegato
Lucio Scafa nacque a Napoli il 24 aprile 1935. È cresciuto nel centro storico di Napoli in via Anticaglia in una numerosa famiglia del ceto medio. Lucio, il sesto di otto figli, si è diplomato all’istituto tecnico industriale statale con il titolo di elettrotecnico, lavorando poi come collaudatore di impianti telefonici. La madre faceva la casalinga e il padre l’ispettore delle ferrovie dello Stato. Il fratello maggiore ha seguito una formazione professionale identica alla sua. Le 6 sorelle invece si sono diplomate tutte in ragioneria ed una di loro si è laureata in matematica e fisica. Anche se l’ambiente domestico non ha contribuito al suo interesse per la pratica cinedilettantesca, Lucio, a metà degli anni cinquanta, ha acquistato la sua cinepresa Lumicon. Ha iniziato filmando le sue gite con gli amici in paesi vicino Napoli. Ha vissuto sempre la pratica della cinematografia come un hobby.
Microstorie familiari
Lina Polito: dal cinema amatoriale al grande cinema italiano
Alla mia prima visione della riedizione con mia madre, attraverso i suoi commenti durante lo scorrimento del materiale, è stata richiamata la mia attenzione sulla figura di una giovane donna. Il suo nome è Lina Polito, una cugina di mia madre che quando era giovane ha lavorato nel teatro e nel cinema come attrice. Avevo già sentito dire da alcune cugine di mia madre, quando sono venute a conoscenza che studiavo cinema, che era una cosa di famiglia, ma fino ad ora non avevo mai colto il significato di quelle parole.
Lina Polito, nata il 24 agosto 1954, ha cominciato da molto giovane a recitare in teatro, viene scritturata poi da Eduardo De Filippo per alcune commedie. Scoperta da Lina Wertmüller viene scritturata nel 1973 per il suo film Film d'amore e d'anarchia - Ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza..." in cui ha recitato nel ruolo di Tripolina. Per la sua interpretazione nel film della Wertmüller riceve la Targa Mario Gromo e il Nastro d'argento come migliore attrice esordiente, il David di Donatello e il premio Antonio De Curtis. Durante la sua carriera, ha interpretato moltissimi ruoli. Quando poi si è ritirata è tornata a vivere nella sua città natale, Napoli.
Nel filmato intitolato Sapri 1978 mia madre e la sua famiglia erano andati in vacanza in campeggio. Lina era andata lì solo qualche giorno per passare un po' di tempo con sua madre. «Muovendosi all’interno di un contesto privato e familiare, le immagini registrano una certa prossimità tra chi riprende e chi è ripreso» (ivi, p. 63). Nei pochi attimi in cui è colta, quando si rende conto di essere ripresa, con un gesto delle mani, tira la sua camicetta in corrispondenza delle spalle mentre il suo sguardo è rivolto altrove (vedi figura 22). Compie poi quasi una semi giravolta mantenendo un’ampia gestualità delle mani (vedi figura 23). Si gira infine verso la persona dietro di lei come per commentare qualcosa (vedi figura 24). Sembra quasi, con i suoi gesti, voler improvvisare una parte nel momento esatto in cui la cinecamera comincia a riprenderla. È interessante notare i suoi gesti e le sue movenze se si considera che all’epoca era già diventata un’attrice da circa cinque anni.
Lo spazio filmico all’interno del film privato
Tra tutti i film amatoriali a mia disposizione, ho deciso di selezionarne due appartenenti alle macrocategorie già classificate in precedenza, per cercare di descriverne lo spazio. I filmati da me scelti sono: Daniela chiesa e Albero bello (vedi figura dalla 25 alla 30).
Ho scelto questo primo filmato per la spontaneità della scena. «La casa è un luogo che attira molti cinedilettanti: è come un richiamo naturale, che non richiede allestimenti specifici, predisponendo i soggetti a farsi riprendere spontaneamente, forse perché lo scenario delle proprie mura fa in qualche modo sentire gli attori della pratica amatoriale a proprio agio» (ivi, p. 133). Nella scena è rappresentato un momento domestico molto intimo perché ci troviamo all’interno del cuore della casa, il bagno. All’interno di esso, una donna sta facendo il bagnetto ad una neonata (vedi figura 31). Attorno alla madre che sta lavando la bimba è raccolta tutta la famiglia che focalizza la propria attenzione interamente sul soggetto inquadrato (vedi figura 32). La scena prosegue fino al momento del passaggio della bimba dalla vasca da bagno al fasciatoio dove, una volta asciugata, viene ricoperta di talco (vedi figura 33). «I neonati sono percepiti come una nuova presenza in casa, una presenza che circoscrive uno spazio raccolto intorno al bebè, limitato alla culla o al fasciatoio, dove le luci si abbassano, le immagini si fanno sature, ma il desiderio di testimoniare il nuovo arrivo è smisurato» (ivi, p. 137).
Il secondo filmato l’ho scelto per la particolarità delle strutture che ho visto e per la curiosità che mi ha suscitato il nome scritto sulla bobina: Albero Bello. In fase di catalogazione, siccome non era molto chiaro ciò che era scritto con il pennarello, pensavo inizialmente di aver letto erroneamente (vedi figura 28). Il filmato mostra i trulli di Alberobello, cittadina in provincia di Bari, in Puglia. Le particolari strutture sono state dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1996. La cinepresa cerca di concentrarsi ampiamente sui trulli e nonostante le inquadrature siano molto rapide e traballanti, si intuisce che queste strutture hanno colto nell’interesse del cineamatore (vedi figura 34). Compaiono più volte: all’inizio, dove a mio modo di vedere hanno la funzione di contestualizzare il luogo in cui si trova la famiglia in viaggio; alla fine, dove alle immagini dei trulli più distanti si accompagnano quelle delle persone che passeggiano lungo la strada (vedi figura 35). Solo pochi attimi si concentrano totalmente sulle persone. In particolare, la cinecamera si ferma ad osservare una bambina ferma al centro della strada (vedi figura 36). Questa gita ad Alberobello fa parte di un viaggio organizzato dove la famiglia ha soggiornato in un hotel in zona. Alcune riprese in esterno, prima dei trulli, mostrano persone, sedie e tavoli situate al di fuori dell’albergo (vedi figura 37). Le riprese successive a quelle della cittadina mostrano invece immagini di svariati animali all’interno dei recinti (vedi figura 38). Le riprese in questione fanno parte di una gita allo zoosafari di Fasano filmate sempre nel medesimo viaggio familiare. Inoltre, anche se non documentata da alcuna ripresa, mia madre si ricorda che in quel viaggio hanno visitato anche le grotte di Castellana. «[…] Vacanze e viaggi invitano […] il dilettante a non lasciarsi perdere l’opportunità di filmare proprio per catturare la straordinarietà del momento e del luogo, che inevitabilmente non potrà più ripetersi» (ivi, p. 145).
Microstorie di famiglia. Materie, memorie e testimoni
Il cinema di famiglia e la sua valorizzazione
I film amatoriali registrati da mio nonno sono rimasti, da parte sua, inalterati. Registrandoli e conservandoli ha permesso che tali ricordi venissero tramandati. E mio padre, con la sua riedizione, non ha fatto altro che mantenere vivo il ricordo di momenti familiari che non gli appartenevano, trattandosi di ricordi della famiglia di mia madre. Si è interessato ai filmati informandosi sui momenti di vita rappresentati nelle pellicole, cercando di capire come poterli riordinare cronologicamente. Ha creato un montaggio video con i suoi personali titoli, le sue dissolvenze e musiche secondo il suo gusto personale in base anche a quelle che erano le sue competenze di montatore dilettante. Ha speso tempo ed energie per confezionare ciò che ha ritenuto essere il miglior prodotto per le sue possibilità (vedi appendice esemplificativa n.5).
Adesso, dopo averne raccolto il testimone, vorrei proporre io una mia riedizione per questo materiale (vedi appendice esemplificativa n.5). In fondo, «l’Archivio non potrebbe concepire sé stesso senza la possibilità di editare il patrimonio che recupera e rielabora» (Simoni, Torri, 2011, p. 270). Partendo dal materiale di mio padre ho deciso di prendere tutte le parti dei filmati in cui compare solo mia madre per raccontarne la crescita. Voglio fare questo per due motivi: il primo è che nonostante i filmati raccontino la storia della famiglia e non solo di mia madre, tutta l’antologia inizia con Daniela molto piccola. Si chiude poi con una scena in cui la famiglia si è ritrovata per un viaggio, approfittando del fatto di essere già lì per il suo matrimonio. In un certo senso quindi sono stati già delimitati un inizio ed una fine della sua storia; il secondo motivo invece riguarda il fatto che anche io come mio padre, che ha fatto tutto questo lavoro principalmente per mia madre, vorrei con la mia riedizione, poter fare lo stesso. Diversamente da lui però ho accompagnato le immagini con una musica di pianoforte prive di dissolvenze. Ho aggiunto solo due titoli in bianco su sfondo nero: un titolo di apertura e uno di chiusura.
Per la valorizzazione ho poi pensato a delle proiezioni «all’interno di iniziative dedicate al cinema di famiglia o nel quadro di manifestazioni o progetti più ampi» (ivi, p. 270) come l’Home Movie Day. Navigando in rete ho visto su https://www.centerforhomemovies.org/2020-hmd-locations/#unitedstates che sabato 17 ottobre 2020 ne sarà organizzato uno negli Stati Uniti. Questi eventi sono organizzati tutto l’anno da ospiti locali e per rimanere informati basta iscriversi alla mailing list del sito.
Conclusioni
Analizzando la collezione Di Biase si è vista la possibilità di accedere a tutto il materiale recuperato. La riedizione ha fatto emergere numerose possibilità di apertura: nuove funzioni e nuovi usi della collezione. Il materiale quindi non è visto solamente come reperto di scavo sopravvissuto e incompleto ma diventa molto di più.
La visione di queste immagini ha rivelato un sunto di informazioni relative alla storia di una famiglia negli anni sessanta-novanta, fornendo una visione anche sullo stile di ripresa e sulla messinscena. L’operazione di analisi dei reperti è stata fatta sì per soddisfare l’interesse di uno spettatore intento nella visione, ma anche per seguire un interesse storico e filologico.
Con la stesura di questo elaborato, sento di aver percorso un viaggio che mi ha avvicinato in modo più prossimo ad una parte della mia famiglia. L’avvicinamento è avvenuto attraverso lo scavo dei materiali, l’esplorazione dei documenti e le testimonianze recuperate. Le stesse immagini accompagnate dalle testimonianze orali di mia madre e i miei nonni hanno facilitato la mia esplorazione. Durante questo percorso sono riemersi anche alcuni ricordi molto vaghi di mio padre alle prese con questi materiali per il montaggio della sua riedizione. All’epoca ero però troppo piccolo per capire ed apprezzare come invece posso fare ora.
Bibliografia
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