Il progetto
The Dangerfield Tapes
Walt Dangerfield e le Cronache del dopobomba
La voce nella cuffia si fece di nuovo sentire. — Walt, quaggiù siamo sottoposti a un attacco.
— Che cosa? — fece lui. — Che cosa avete detto?
— Che Dio ci aiuti. — Era la voce di un uomo già morto, una voce senza espressione che si spense e sparì.
[…] Si sforzò di alzarsi, staccando le cinture di sicurezza, per guardare dall'oblò il mondo sottostante. Nuvole, l'oceano, il globo stesso... Qua e là si accendevano dei bagliori di fiammifero. Walt vide i brevi lampi, i fuochi. E nel suo viaggio silenzioso attraverso lo spazio, fu colto dalla paura. Guardando giù vedeva le chiazze di fuoco avvampare qui e là e sapeva cos'erano. "È la morte" pensò. La morte che accendeva i falò e bruciava la vita del mondo, un secondo dopo l'altro. Continuò a guardare.
Philip K. Dick, Cronache del dopobomba. (ed. or. “Dr. Bloodmoney: or, How We Got Along After The Bomb, 1965), Urania n. 49, Mondadori, Milano, 1965.
Rovine
Frederic Jameson, impegnato in una lettura di stampo strutturalista del sistema dei personaggi creato da Philip K. Dick in Cronache del dopobomba, concludeva la sua analisi affermando che l’evento di base, l’orizzonte di attesa previsto dall’immaginazione del dottor Bloodmoney del titolo (il mad scientist Bruno Bluthegeld del libro), responsabile della catastrofe atomica, fosse “la sostituzione del regno del linguaggio con il regno delle cose” (Jameson, 1975)(fig. 1).
La comunità post-atomica immaginata da Dick nella prima metà degli anni Sessanta del Novecento è colta mentre riscopre e coltiva una quotidianità pre-industriale, i cui mezzi di trasporto si limitano a biciclette, carri trainati da cavalli, palloni aerostatici e poco altro. La bicicletta (fig. 2) è elevata a simbolo di un nuovo status sociale (“si rese conto di guardare la bicicletta con invidia”) e al contempo diviene emblema della massima efficienza in termini di risparmio e dispendio energetico all’alba della crisi petrolifera ed energetica mondiale degli anni Settanta e nuovamente al centro di processi di variazione e selezione tecnologica (Wilson, 1973: Bijker, 1995).
Ogni componente e oggetto della tecnica diviene occasione per un “do it yourself” diffuso, risorsa per neonate associazioni tecniche e mezzo di scambio per implementare nuovi strumenti e opportunità.
La comunicazione si limita all’oralità, alla scrittura manuale, alle onde radio. Le tecnologie alla base di molti media della modernità industriale, come la fotografia, sono in possesso di pochi (i militari scampati al disastro) o andate perlopiù perdute (“Non esistono più pellicole, né sostanze chimiche per svilupparle. Le buone macchine fotografiche in maggior parte sono andate distrutte o sono sparite”).
In questo paesaggio con rovine mediali, lo sguardo dei sopravvissuti si rivela meravigliato ed eccitato di fronte alla riscoperta di tecniche dimenticate o finalmente apprese, a tecnologie elementari (gli aghi da cucito), alla possibilità di riunirsi per ascoltare una flebile emissione radiofonica o a nuove e inedite potenzialità tecno-cognitive. Come nel caso del mutante e focomelico Hoppy – anima ‘nera’ del racconto, in procinto di manifestare un nuovo potere tecnocratico e medianico –, una figura prossima al coevo pensiero mcluhaniano sulla medialità come estensione e mutilazione delle capacità umane (McLuhan, 1964) e al contempo incarnazione dei timori tipici degli haunted media (Sconce, 2000).
Archivi
La comunità raccontata nel libro è inoltre fondamentalmente priva di memorie e conoscenze che non siano quelle ancorate al corpo, alla parola o alla scrittura a mano (“i giornali sono spariti”, “qualche prezioso libro della biblioteca locale”). E’ qui che entra in gioco Walt Dangerfield, inviato sul Dutchman IV assieme alla moglie per raggiungere e colonizzare il pianeta Marte. Costretto invece dal disastro a orbitare perennemente e in solitaria attorno alla Terra, Dangerfield “disponeva di migliaia di metri di nastro registrato, audio e video, per scopi ricreativi. E adesso usava quel materiale per fare divertire gli altri, là sotto, i sopravvissuti della civiltà”. La “nastroteca” di Dangerfield (musica, documentari, voci enciclopediche, ecc.) offre selezioni e programmi, soddisfa richieste e diviene l’archivio del mondo del dopobomba. Al contempo Dangerfield, lungo il suo moto orbitante, diviene aggregatore e diffusore quotidiano, mezzo di comunicazione e di scambio di informazioni, conoscenze e affetti tra le varie comunità disperse sul pianeta.
Opportunità: The Dangerfield Tapes
Il libro di Dick offre una duplice opportunità. La prima è di riversare il suo rinnovato stupore e desiderio di comprensione in un contesto contemporaneo, mutato dalla pandemia Covid-19. L’esortazione è a osservare il paesaggio delineato dalla quarantena, dal distanziamento sociale e dai protocolli igienico-sanitari per riscoprirvi media, supporti e tecnologie ottiche, cinematiche, acustiche, grafiche, meccaniche che sono progressivamente scomparse dal nostro quotidiano eppure ancora portatrici di significati e valori, con l’intento di descriverle, archiviarle, analizzarle e infine condividerne la loro consistenza materiale e storica, nonché la sensibilità e la conoscenza acquisita su di esse.
Cronache del dopobomba offre inoltre una seconda opportunità: guardare alla “rete”, ai canali di comunicazione (televisioni, telefoni, radio, ecc.), alle “registrazioni” conservate in casa (film, vinili, nastri magnetici, fotografie, supporti elettronici e informatici, ecc.), alle “registrazioni” create ora, da ognuno di noi, con i propri mezzi (audio, video, immagini), come a un archivio di enunciati “orbitante” e al contempo a un ambiente istitutivo di relazioni ed empatie nel momento del “distanziamento”.
Il progetto ha invitato così gli aderenti a selezionare oggetti e supporti inseriti in tre ‘cornici’ concettuali (materialità, evidenze e finzioni, registrazioni) e collocabili entro la polarità istituita da un lato dalla pandemia e dall’altro dall’impulso archivistico.
I risultati, qui presentati, compongono nel loro complesso un archivio intitolato alla memoria dei coniugi Dangerfield: The Dangerfield Tapes. Le occorrenze dell’archivio sono state sottoposte a descrizione catalografica, analisi e condivisione, andando a istituire un piccolo archivio comunitario del ‘dopobomba’ pandemico.
Paradigma Covid-19
L’inizio del nuovo decennio, segnato dalla pandemia Covid-19, ha reso necessaria l’adozione di modalità diffuse di “quarantena” e “distanziamento sociale”. Gli individui sono stati costretti nelle proprie abitazioni o nei luoghi in cui hanno potuto trovare riparo, obbligati o invitati a uscire di casa solo per le strette necessità di sopravvivenza individuale, famigliare e collettiva (dal cibo ai medicinali, dal soccorso al lavoro) e seguendo rigidi protocolli relazionali. Le persone da un lato hanno compensato il distanziamento sociale e l’isolamento attraverso la ‘mediazione’ offerta dalle infrastrutture e dagli applicativi digitali, esperendo un’alfabetizzazione ad applicazioni già di uso comune in alcuni settori istituzionali, professionali e scientifici, dall’altro hanno riscoperto pratiche, gesti, modi, ambienti e strumenti progressivamente scivolati ai margini del proprio habitus socio-culturale e stile di vita (Bourdieu, 2005).
La condizione indotta dalla “quarantena”, allo stesso tempo ipermediale e ipomediale, ha reso chiaro come e quanto i media determinino le condizioni di conoscenza e quindi l’episteme di una comunità. In questo scenario, la didattica a distanza si offre come uno dei luoghi e delle arene di misurazione e orientamento dell’adattamento degli atenei, delle scuole e degli studenti alle mutate condizioni di ingaggio gnoseologico, socio-culturale e pedagogico. Gli insegnamenti che prevedono una componente laboratoriale risentono particolarmente delle difficoltà e delle costrizioni imposte.
Nel caso dell’insegnamento di “Preservazione e valorizzazione del patrimonio cinematografico”, che prevede una serie di attività e di incursioni in un ambito laboratoriale, a diretto contatto con pellicole, macchine, applicativi, il momento di incontro concreto con la materialità degli artefatti e con le pratiche di archivio viene a mancare. Si noti inoltre che l’incontro con la materialità dei media e dei supporti non si risolve o può essere relegato a un momento tecnico-artigianale ma pone al suo fondo la convinzione che tecnica e pensiero siano indissolubilmente legati fra loro. In altre parole, che il campo teorico-metodologico, quello archeologico-storiografico e quello della prassi procedano tra loro congiunti e che un’attività hands-on, in altre parole focalizzata sullo studio laboratoriale e diretto della materialità dei dispositivi, delle tecnologie e degli artefatti, permetta di cogliere questi ultimi come detentori di un sapere ‘incarnato’.
L’ambiente laboratoriale si presta così a luogo “epistemico” di costruzione del sapere, sia in termini di introduzione alle pratiche d’archivio sia in chiave di comprensione, per tramite dell’esperienza dei processi e delle operatività, della funzione degli archivi, delle memorie, delle medialità e delle discipline coinvolte nella conservazione e trasmissione della conoscenza (Latour, Woolgar, 1979).
L’impossibilità di abitare il dispositivo laboratoriale e archivistico mina alla sua base il momento decisivo di radicamento nel discente di questa conoscenza intrecciata e stratificata.
Il progetto
Al fine di offrire una strategia di adattamento e risposta al nuovo paradigma, il progetto The Dangerfield Tapes istituisce una cornice finzionale (la pandemia covid-19 come manifestazione di una condizione di esistenza da ‘dopobomba’), finalizzata a disporre un progetto di scavo, archiviazione e ripensamento di media e di supporti ottici, grafici, fonografici, fotografici, cinematografici, magnetici, elettronici. Il “continuare a guardare” invita a trasformare le costrizioni in potenzialità ed eleva la “nastroteca” del dickiano Walt Dangerfield a riferimento per un archivio fondato sulle rovine mediali di un paesaggio delineato dalla quarantena, dal distanziamento sociale e dai protocolli igienico-sanitari.
I Tapes compongono un complesso documentale legato dal vincolo epidemiologico, un archivio di “deposito” in cui fare convergere dispositivi, supporti e immagini classificati sotto tre etichette e aree di lavoro: materie; evidenze e finzioni; registrazioni.
I partecipanti hanno potuto scegliere una o più aree di lavoro in base agli oggetti, ai materiali, alle operatività prescelte. Durante e dopo la quarantena, l’ambiente domestico si è rivelato agli occhi dei partecipanti un luogo stratificato, popolato di media e di supporti obsoleti o in via di obsolescenza (materie). Le infrastrutture della comunicazione - le interfacce, gli schermi, le loro periferiche - sono luoghi e strumenti di mediazione e connessione con archivi “orbitanti”, da cui selezionare evidenze documentarie e/o finzioni accostabili al prisma pandemico. Infine la “nastroteca” si completa con registrazioni, realizzate durante l'hic et nunc pandemico e anch’esse originate da un impulso archivistico.
Gli artefatti selezionati da ogni studente sono inseriti in un protocollo di archiviazione, indagati e infine ridisposti in vista di una loro valorizzazione creativa: dallo scavo (scavi) alla descrizione e documentazione catalografica (reperto/repertorio); dallo studio storico-analitico (storiografie) all’edizione (cronache). Il piccolo archivio del “dopobomba” si popola così di documenti, repertori, racconti, collage visivi, montaggi, saggi e video-saggi riconducibili alla pandemia Covid-19.
Le fasi del progetto
Il progetto prevede quindi quattro fasi: lo scavo, la descrizione e documentazione catalografica, lo studio storiografico e infine la valorizzazione. Le quattro fasi sono qui descritte:
1. Scavi
La fase di scavo è in assoluto la più delicata. Il momento e il luogo di rinvenimento richiede metodo e attenzione. Non si tratta di una pura operazione tecnica di disseppellimento o prelievo ma dell’atto fondativo lungo un percorso che non vede soluzioni di continuità tra rinvenimento e recupero (Carandini, 1981).
Detto altrimenti, il disseppellimento deve essere attentamente valutato e compreso nelle responsabilità che questa azione comporta, senza le quali “non è opera di né di ricerca storica né estetica, ma un’operazione incosciente, la cui responsabilità sociale e spirituale è gravissima, perché è indubbio che quanto si trova sotterrato è maggiormente protetto dalla prosecuzione di condizioni ormai stabilizzate che dalla rottura violenta di queste condizioni che lo scavo produce” (Brandi, 1963).
Detto diversamente, al riconoscimento della pertinenza del piano tecnico e mediale introdotto dai paradigmi del nuovo materialismo e quindi dal diffuso interesse teorico e archeologico deve fare seguito una riconoscenza nei confronti degli oggetti tecnici e mediali e degli artefatti soggetto a 'scavo', in considerazione del fatto che tali oggetti, una volta posti nuovamente da parte (cioé quando lo strato della scrittura scientifica li ha destinati a un nuovo seppellimento), risultano invece e in senso proprio 'scavati', non solo in senso allegorico, e quindi terribilmente esposti a posteriori. Una piena maturità da parte degli studi di cinema e media deve quindi prevedere una verifica ex ante ed ex post della rigorosa cura degli artefatti assunti come oggetto di studio, in termini di comprensione del loro statuto materico, culturale e della loro sostenibilità nel tempo, specie laddove tali oggetti siano di nuova individuazione teorica e storica, colti in situ e/o non esistano o siano ancora in formazione le loro cornici di senso e le istituzioni deputate alla loro conservazione (Caneppele, 2017; Venturini, 2020).
2. Reperto/Repertorio
Il termine “repertorio” è qui utilizzato in senso lato rispetto all’uso in archivistica. Quando nel 1932 la rivista francese “Pour vous” pubblica il celebre articolo “Sauvons les films de répertoire” di Lucienne Escoube, la salvaguardia del cinema muto a rischio durante la transizione al sonoro passa per il riconoscimento pregresso del cinema come forma d’arte e invoca una “selezione molto severa” delle pellicole di valore. In questo senso, la costituzione di un répertoire passa innanzitutto per un’opera di selezione, e quindi di esclusione. Inoltre, come già chiaro al tempo, la “salvaguardia” passa per la conservazione fisica degli elementi materiali.
Entro il perimetro finzionale costruito – la raccolta e archiviazione di reperti in una realtà afflitta da una pandemia – le azioni di scavo e di individuazione delle occorrenze da archiviare assumono un intento secondo. Non si tratta infatti, come sembra facile pensare, di scelte obbligate, dettate dalle costrizioni. Tra le molte possibilità che ci si presentano, i criteri di classificazione assunti (le tre tipologie) già agiscono da dispositivo che indica ciò che è e ciò che non è possibile archiviare (Foucault, 1971; Agamben, 2006). In seconda battuta, all’interno di questo esercizio di potere, le direzioni prese da ognuno rispecchiano valori e ordini individuali di carattere estetico, intellettuale, storico, affettivo, morale, funzionale, ecc.
Fatta propria questa consapevolezza, la seconda fase si dispiega in due direzioni: lungo la prima si occupa di istituire l’inventario descrittivo e analitico dei reperti; attraverso la seconda acquisisce consapevolezza delle necessità conservative di ogni materiale.
Nella prima direzione, ogni materiale è stato catalogato e documentato seguendo le schede dedicate (scheda per gli oggetti tecnici; scheda per i materiali filmici; scheda per gli altri supporti; scheda per le evidenze, le finzioni e le registrazioni) e derivate dagli standard vigenti (ICCD, FIAF, CEN, ecc.). La descrizione ha incluso la raccolta e disposizione di informazioni sugli oggetti (manualistica, fonti orali, bibliografie, ecc.) utili alla scrittura delle loro storie.
Lungo la seconda direzione, le schede sono state accompagnate da una breve relazione che per ogni reperto ha delineato lo stato di conservazione, le indicazioni di conservazione a lungo termine e nel caso le opportune azioni di preservazione e/o restauro.
3. Storiografie
La terza fase ha voluto offrire al potenziale utente dell’archivio una scheda storico-analitica di uno o più reperti ed evidenze/finzioni raccolte, cioè un’organizzazione discorsiva della conoscenza storica acquisita attraverso lo studio della storia materiale e culturale dei reperti e delle fonti primarie e secondarie raccolte e interrogate.
In particolare l’approccio consigliato è stato da un lato di unire e intrecciare tra loro storia tecnologica e materiale e storia della cultura materiale e culturale degli oggetti e degli enunciati assunti, dall’altro di adottare un approccio “microstorico” volto allo studio analitico di oggetti, pratiche e relazioni espresse dai manufatti, dalle evidenze, dai documenti. In altre parole capace attraverso l’individuazione di spie, anomalie e analogie e mediante l’adozione di prospettive differenti (lo spaesamento e il distanziamento) di condurre a scale meno individuali e puntuali e raccontare fatti, comportamenti e abitudini più ampi in termini temporali e sociali (Ginzburg, 1986, 1998; Grendi, 1978; Levi, 2012).
La scheda ha avuto come obiettivo quello di dimostrare di sapere organizzare la conoscenza storica desunta dalle pratiche di descrizione e analisi degli oggetti ma anche dallo studio delle fonti, dovrà inoltre dimostrare la capacità di messa in relazione di eventi, dettagli, particolari indizi con dinamiche e percorsi storici e socio-culturali più ampi.
4. Cronache
L’adozione del termine Cronache deriva dalla cornice finzionale, ma fa anche e soprattutto riferimento alla sua etimologia, cioè a quello che attiene al tempo e inoltre a un’esposizione dei fatti che non si separa dal quotidiano e si spoglia a un certo livello dagli obblighi di rispetto della rigorosità scientifica e semmai si intreccia con modalità immaginifiche, creative e progettuali di accesso e valorizzazione del patrimonio, praticate o contemplate da archivi e musei del film, del cinema e dei media tecnici.
La quarta e ultima fase ha previsto così la formalizzazione di idee espositive, narrative, curatoriali, editoriali, creative, sociali, finalizzate alla valorizzazione e condivisione dei reperti, delle registrazioni e delle conoscenze acquisite. In questo senso, la scheda storico-analitica prevista nella fase 3 rappresentava già una possibile forma e prodotto delle pratiche archivistiche e storiografiche. Qui di seguito si riportano alcune aree concettuali suggerite inizialmente: Catalogo; Atlante; Gabinetto/Wunderkammer; Cartografia/Mappa; Esposizione; Virtual Exhibition; Interazione e condivisione sociale; Installazione; Video-essay; Found Footage Video; Documentario; Fiction; Saggistica; Curatorship e programmazione; Storytelling.
La proposta doveva contenere una parte di progettazione ed eventualmente una di produzione esecutiva, cioé doveva dimostrarsi capace di organizzare la conoscenza sui reperti e sui fondi e gli oggetti stessi in un dispositivo coerente e in un luogo pubblico e per il pubblico e infine pronta a dichiarare e chiarire fin dal principio gli intenti e gli strumenti utilizzati.
Le attività
Le attività progettuali hanno seguito in background i task d’archivio individuati all’interno del corso (acquisizione e selezione; catalogazione, conservazione, accesso).
Se i task seguono la prassi organizzativa degli archivi del film e la letteratura storica sull’argomento (Cherchi Usai, 2001), lo schema di riferimento adottato dall'Insegnamento (fig. 3) deriva essenzialmente dal modello di riferimento Open Archival Information System (OAIS, standard ISO 14721).
L’OAIS (fig. 4) “è stato elaborato dal Consultative Committee for Space Data Systems (CCSDS) e pubblicato nel 2002 come modello di riferimento in grado di fornire concetti fondamentali per la conservazione digitale e definizioni essenziali finalizzate a dare stabilità e coerenza anche terminologica alla funzione conservativa di oggetti digitali di qualunque natura […] È oggi considerato lo standard de facto per lo sviluppo di archivi e depositi digitali” (http://www.conservazionedigitale.org/wp/approfondimenti/depositi-di-conservazione/oais-reference-model/).
Qui di seguito si riporta l'equivalenza costruita tra fasi del progetto e task d'archivio:
Fasi | Task | Attività |
Fase 1 - Scavi | Selezione e Acquisizione | Selezione secondo
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Fase 2 – Reperto/Repertorio | Catalogazione |
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Conservazione |
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Fase 3 - Storiografie | Accesso passivo |
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Fase 4 - Cronache | Accesso attivo |
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BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE CITATE
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Carandini, Andrea, Storie dalla terra. Manuale di scavo archeologico, Einaudi, Torino, 1996 (1° ed., 1981, De Donato, Bari)
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