Wunderkammer
Tra ritratti individuali, viaggi e assetti geopolitici globali
Zenit modello TTL
NOME FONDO | Collezione privata Diego Muratore |
PROPRIETARIO | Muratore D. |
IDENTIFICATIVO | 00000002 |
LOCALIZZAZIONE | Italia |
TIPOLOGIA DEL SITO | Abitazione privata |
SPECIFICHE | Soggiorno, I piano, teca museo |
COORDINATE | 45.613643, 13.859701 |
DATA DI REPERIMENTO | 15/05/2017 |
AUTORE DELLO SCAVO | Muratore D. |
DEFINIZIONE | Macchina fotografica |
TIPOLOGIA | Reflex 35mm |
CATEGORIA | ottica |
ANNO | 1980 |
MARCA | Zenit |
MODELLO | TTL |
N. SERIE | 8207076 |
MISURE E PESO | 19,2 cm (L), 9,2 cm (P), 9,5 cm (H) / 942 gr |
Wunderkammer. Tra ritratti individuali, viaggi e assetti geopolitici globali
di Diego Muratore
Da sempre ho avuto la passione del collezionismo: dai francobolli, di cui dispongo di un enorme catalogo, ai vecchi soldatini di piombo. Ho iniziato con il modellismo, dipingendo figurini e allestendo una vetrina come spazio espositivo. La passione di raccogliere, riparare ed esporre, di "collezionare", si è fatta via via sempre più forte in me.
L’avvicinamento al mondo della fotografia e della cinematografia rese, per così dire, inevitabile il rinvenimento in casa di una macchina fotografica semiautomatica Minolta, appartenente a mia madre e con la quale scattò centinaia, se non migliaia, di fotografie. Dopo esser entrato in possesso di questo oggetto, i miei parenti pensarono che fosse il momento giusto per affidarmi altri cimeli di famiglia: mi vennero regalate le macchine fotografiche e la cinepresa di mio nonno. Una volta creato lo spazio espositivo apposito per tutti questi oggetti e messi in “bella vista”, la curiosità mi spinse a chiedere al nonno quale fosse la storia della cinepresa e di un’altra macchina fotografica.
Il nonno mi chiese di sedermi – sapevo che stava per iniziare a narrare un'odissea - e iniziò a raccontare: la cinepresa 8mm Wollensak EyeMatic C-46 gli venne regalata al compimento dei diciotto anni nel 1958, momento in cui venne «liberato» (cito testualmente) dalla prigionia del collegio milanese al quale era stato affidato, in quanto la sua famiglia non poteva accollarsi le spese dei numerosi figli. Portò con sé la Wollensak più o meno per tutta la vita – anche quando diverrà obsoleta – e con essa filmò il matrimonio con mia nonna e le innumerevoli vacanze che assieme fecero, ben molto tempo dopo la nascita di mia madre.
Altra storia è quella della macchina fotografica Zenit modello TTL. Subito dopo il collegio mio nonno iniziò a lavorare come marittimo sulle navi petroliere. Girò il mondo per oltre dieci anni: visitò il Sudamerica, l'India, Johannesburg, risalì il Nilo... Uno di questi viaggi lo portò nel gelido nord del mar Baltico, fece tappa a Copenaghen, Lubecca, Riga e San Pietroburgo. In quest’ultima città giunse in occasione del suo compleanno: i colleghi e amici di mare decisero allora di fargli un regalo: una macchina fotografica sovietica, la Zenit TTL detta anche“Mosca”, che in quel momento era concorrente di Leica, Hasselblad e di tante altre.
In conclusione, i due oggetti racchiudono in sé molto di più che delle semplici meccaniche: portano dentro la storia di un uomo che è arrivato ai confini della terra, che nella sua umiltà e con la poca esperienza delle persone comune e non professioniste del settore ha impresso su pellicola le immagini (per essere mostrate e, soprattutto, tramandate) testimoni dei suoi grandi viaggi e delle tappe della sua travagliata vita. Ho scelto queste due macchine perché, assieme ai negativi, sono il ricordo tangibile che mi rimarrà di mio nonno una volta che non ci sarà più e perché credo costituiscono uno degli archivi più completi e importanti della mia famiglia.
La scelta è infine dettata dal periodo in cui stiamo vivendo, il quale ha temporaneamente fermato le dinamiche quotidiane e ha permesso così di poter mettere ordine in casa. Il progetto di catalogazione, documentazione e riscoperta dei materiali, vuole essere non solo, come detto in precedenza, un riscoprire la gioventù di mio nonno e la mia “eredità” ma vuole essere anche un messa a confronto, nella contemporaneità segnata da una ridefinizione delle relazioni geopolitiche che ancora stentiamo a comprendere e valutare, di due oggetti e strumenti di ripresa che all’epoca della loro diffusione e utilizzo incarnavano e rappresentavano le due contrapposte superpotenze dominanti: Stati Uniti e URSS.
Wunderkammer. Tra ritratti individuali, viaggi e assetti geopolitici globali
Quello delle Wunderkammer è un fenomeno che risale all'alto medioevo, sviluppatosi maggiormente nel corso del Cinquecento e del Seicento per poi scemare pian piano nel corso del Settecento: questi gabinetti si possono definire come proto-musei in quanto si tratta del primordiale concetto di museo e dell'atto di collezionare, nonostante in questi i materiali non vengano organizzati seguendo quello che potrebbe essere considerato il moderno metodo per la catalogazione e l'esposizione degli oggetti. All'interno di questi “gabinetti delle curiosità” venivano conservati e, come precedentemente affermato, esposti oggetti che si supponeva recassero stupore al pubblico; ciò che si conservava era diviso in due categorie principali: naturalia, ovvero tutti quegli oggetti provenienti dalla natura stessa come animali e piante rari o sconosciuti; artificialia, ossia tutto ciò che era collegato al mondo umano, quindi monete antiche, preziose collane, vasi, reperti archeologici, manoscritti; in sostanza tutto ciò che poteva avere una sorta di commercio nell'ambito del collezionismo (Weschler, 1999).
Se da una parte la funzione delle Wunderkammer era quella di far conoscere le meraviglie del mondo, dall'altra, come afferma Stephanie Jane Bowry, inevitabilmente ciò che si venne a creare furono una sorta di archivi dove tutti gli oggetti in essi presenti venivano conservati da possibili deterioramenti possibilmente causati, in primis, dal tempo e dagli agenti atmosferici ma anche da probabili cause dovute all'uomo: cattiva conservazione, incedi nelle abitazioni – nel medioevo spesso frequenti – vendita a terzi senza tener conto del valore storico e così via. Si può parlare quindi non solo di proto-museo, ma anche di proto-conservazione dei materiali nonostante il fine non fosse quello del tramandamento storico ma più considerato come il possesso di oggetti rari e pregiati e, di conseguenza poi, l'elevazione ad uno status sociale più alto: era comune pensiero che il possedimento di beni preziosi o immobili sfarzosi assicurasse uno stato elitario nella società del tempo (Cfr. Bowry, 2015).
Ciò che ne esce è proprio il concetto di “collezionismo”. Da qui ha inizio la ricerca che si vuole condurre prendendo in esame oggetti attualmente disposti all'interno di una teca adibita a museo all'interno di un'abitazione privata: apparecchi che sono andati a formare il “Fondo privato Muratore”, il quale attualmente conta di diversi apparecchi ottici: parte della collezione una macchina fotografica prodotta da una sussidiaria della sovietica KMZ, la Zenit modello TTL.
Zenit TTL
Dopo che il sistema TTL ha soppiantato già da oltre dieci anni i precedenti esposimetri con la fotocellula esterna in Paesi come il Giappone e la Germania, nel 1977 anche in Russia si iniziò a pensare alla costruzione di una reflex TTL, sostituendo l’esposimetro esterno con uno moderno composto da una fotocellula al CdS (solfuro di cadmio) posta all’interno del cappuccio del pentaprisma. In sostanza anziché progettare una nuova fotocamera, si modificò la linea di produzione delle Zenit al fine di adattarla a quella delle nuove Zenit. Nell'aspetto esteriore la Zenit TTLnon si diversificò molto dai precedenti modelli Zenit EM e Zenit B e al contempo le prestazioni che offriva furono le medesime, con una gamma di velocità limitata (da 1/30 a 1/500 di secondo). La sola differenza era data dall’esposimetro TTL, che indica nel mirino la giusta esposizione per mezzo di un aghetto mobile. La misurazione avveniva con il diaframma chiuso e su tutta l’area inquadrata; lo stesso pulsante di scatto, premuto a metà, funzionava da interruttore del circuito, facendo chiudere il diaframma ed attivando l’esposimetro.
La Zenit TTL fu costruita prevalentemente in finiture nere fra il 1977 e il 1985, per oltre un milione e mezzo di pezzi, comprese le versioni celebrative dei Giochi Olimpici di Mosca del 1980 la quale venne prodotta in circa un milione di pezzi, sia dalle fabbriche KMZ che, al fine di sostenere i futuri possibili elevati acquisti della camera, dalle officine Bielomo di Minsk, a partire già dal 1977: in pratica entrarono in commercio all'incirca due milioni e cinquecento mila corpi macchina Zenit TTL.
Particolarmente utilizzata in ambito non solo amatoriale ma anche fotogiornalistico, la Zenit era una tra le principali concorrenti delle altre grandi aziende produttrici: si pensi che, tra le reflex a formato 35 mm, venga considerata tra le migliori sia per la maneggevolezza sia per la qualità degli scatti sviluppati poi in stampa.
Il proprietario, Bruno, la ricevette durante uno dei suoi viaggi verso il mar Baltico: era il giorno del suo compleanno quando gli venne donata tale camera; da lì fino a fine anni Novanta, fotografò un'immensità di scene: dai colleghi di lavoro, ai viaggi in famiglia, matrimonio e via dicendo.
Sicuramente l'ottima manutenzione ha fatto sì che questa macchina acquistasse un valore relativamente alto nel mercato del collezionismo: considerando che allora, nel 1977, costava centocinquanta mila lire, equivalenti a circa cinquecentosettantasette euro ed oggi è possibile rivenderla a più o meno lo stesso valore del prezzo in euro; si può affermare con certezza che il costo di tale camera, grazie, come già detto precedentemente, al perfetto stato di conservazione e l'ottimo funzionamento, risulta essere particolarmente alto in ambito di compravendita.
Wunderkammer. Tra ritratti individuali, viaggi e assetti geopolitici globali
All'opposto dell’occidente capitalista, si trovava il rigido sistema economico della Russia comunista: la costituzione dell'Unione Sovietica, CCCP (acronimo in russo per: Союз Советских Социалистических Республик; Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), venne proclamata nel dicembre del 1922 ma le industrie di materiale ottico, fotografico e cinematografico vennero nazionalizzate da Lenin già nel 1919 durante il periodo denominato “comunismo di guerra”.
A partire dal 1921 viene attuata la Nuova Politica Economica (NEP) con la quale si tenta di modellare le strutture economiche della società sovietica, facendo convivere l'economia di stato con quella di mercato, dando particolare rilevanza ad una radicale collettivizzazione dell'agricoltura ed allo sviluppo dell'industria, in particolare quella pesante, incentivando l'aumento della produzione.
Alla morte di Lenin, nel 1924, il sistema della NEP venne via via abbandonato per lasciare spazio ad un nuovo modello fondato da Stalin nel 1929 e gestito dalla Commissione Statale di Pianificazione Generale, comunemente conosciuto come GOSPLAN: ad essa fu affidato il compito di trasformare radicalmente l'economia, basata inizialmente su un rapido sviluppo dell'industria pesante come base del progresso economico, tralasciando per il momento l'industria leggera e la produzione dei beni di largo consumo. Mentre si assistette ad un crollo della produzione agricola, si ebbe un vertiginoso aumento della produzione siderurgica e sorgono numerosi complessi industriali come a Magnitogorsk e Kuzneck, a Mosca e Gorkij, negli Urali e Kramatorsk, Charkov, Stalingrado e Celiabinski. [Alberto De Bernardi, Scipione Guarracino; Epoche, 2012]
In particolare a Pietroburgo opera fino al 1918 l'Istituto Statale di Ottica da cui nacquero, nel 1921, le officine GOZ, acronimo per Fabbriche Statali di Ottica la cui produzione si concentrava su vetro ottico e lenti: la nascita di una produzione fotografica organizzata su basi industriali inizierà negli anni Venti e proseguirà per oltre sessant'anni, fino alla caduta della stessa Unione Sovietica nel 1991; tale produzione assunse quindi una dimensione ed un interesse del tutto particolari, non solo perché da subito venne bloccato l'import di componenti fotografiche e camere al fine di sostenere e supportare la produzione interna del Paese ma anche perché, specialmente se confrontata alla parallela produzione di fotocamere ed obiettivi nei paesi capitalisti dell'occidente e alla produzione della DDR, ristretta in un arco di tempo più limitato, tale industria perdurò nel tempo, mantenendo saldo il sistema che le reggeva e, al termine della Seconda Guerra Mondiale, esportando prodotti, divenuti famosi in tutto il mondo.
Nell’immediato secondo dopoguerra molta della produzione fotografica sovietica si concentrò nelle vicinanze di Mosca, nella località di Krasnogorsk, Montagna Rossa, presso le officine KMZ(Krasnogorski Mekhanicheskii Zavod). Nei primissimi anni Cinquanta le reflex 35 mm costruite nel mondo sono pochissime: in Europa le Rectaflex e le Alpa Reflex, a Dresda le Exakta, le Praktica e le Contax S, in Giappone solo le Asahiflex: anche i sovietici decidono di rispolverare quindi l’idea di progettazione di una reflex 35 mm; la produzione pertanto venne avviata presso le moderne e tecnologiche officine KMZ, si prese come modello una macchina Zorki, a cui vennero tolti il mirino ed il telemetro, ed applicati, sulla parte frontale la scatola dello specchio mobile e come mirino un pentaprisma fisso.
Il corpo macchina, comandi, otturatore, fondello amovibile e lo scomodo sistema di caricamento della pellicola rimasero uguali: per la nuova fotocamera, messa in produzione di serie nel 1952, si scelse il nome di ЗЕНИТ, in caratteri latini Zenit, il cui nome fu inciso in caratteri cirillici corsivi sulla parte frontale. Rispetto alle altre reflex, la Zenit risultò da subito, con il primo modello, più piccola e compatta, offrendo prestazioni più modeste nonostante il design non sempre comodo e la limitata gamma di velocità di otturazione. Il modello originale venne prodotto fino al 1956 quando, sul mercato, esso sarà soppiantato dalla Zenit S la quale portava con se nuove migliorie.
Le macchine Zenit vennero prodotte, come già detto in precedenza, fino alla caduta dell'Unione Sovietica e i modelli successivi a quelli già presi in esame, vennero equipaggiati di nuove focali, sistemi di riflesso moderni e innovativi, design alla moda per rimanere sempre a passo con la concorrenza d'esportazione.
Va detto quindi che le fotocamere di produzione russa hanno rappresentato per decenni, continuando ad esserlo, l’alternativa più economica nel mondo delle reflex 35 mm e di medio formato. Si tratta generalmente di fotocamere dalle prestazioni limitate, dalla meccanica non troppo raffinata e corredate con obiettivi sovietici di ottima manifattura. Le Zenit, in questo caso, furono esportate massicciamente in occidente e la produzione, sovvenzionata dallo Stato, permise di vendere a prezzi molto competitivi rispetto alle concorrenti tedesche e giapponesi.
Negli anni Sessanta e Settanta non c’era nessun visitatore occidentale dell’URSS che non ritornasse a casa con al collo almeno una Zenit, acquistata con dollari oppure con rubli: la reflex russa rappresentava comunque un “eterno” ricordo del viaggio nel paese dei soviet. Ma non era necessario arrivare fino in Russia: erano i profughi russi stessi che, in viaggio verso paesi più accoglienti, portavano con sé invece che del denaro, apparecchiature di vario genere, fra cui fotocamere e obiettivi, al fine di rivenderle poi nei mercatini diffusi in tante città italiane e d'Europa.
Wunderkammer. Tra ritratti individuali, viaggi e assetti geopolitici globali
Per ciò che concerne l'aspetto della valorizzazione, riprendiamo ora non solo il concetto di Wunderkammer ma viene introdotto anche quello di ‘memoria’.
Nelle schede precedenti, si è spiegato il significato storico del “gabinetto delle meraviglie”, ossia una stanza o un mobile dove venivano esposti al pubblico, conservati e in alcuni casi venduti, oggetti rari e curiosi provenienti dal mondo umano e naturale. Come si è visto la Wunderkammer può essere considerata come un'idea primordiale di museo: l'atto di raccogliere ed esporre oggetti, sebbene nelle Wunderkammer senza una metodologia, è proprio di un archivio o museo ma, spingendoci un po' più in là ci rendiamo conto che questo spazio ospita dei veri e propri cimeli storici che non sono altro che delle prove della presenza e dell'azione dell'uomo.
La memoria, scrive Alice Cati nel suo Gli strumenti del ricordo, possiede un proprio linguaggio, speciale e talvolta affine a quello poetico in quanto ricorre ad una serie di metafore per spiegare in maniera figurativa le sue diverse proprietà:
«la similitudine della nozione di traccia risulta essere efficiente per spiegare il ricordo, o traccia psichica, come un segno che perdura nel tempo inteso anche come traccia culturale, quest'ultima caratterizzata da una forma materiale come la scrittura, in origine, successivamente con l'era della digitalizzazione, fotografie, social media e così via» (Cati, 2016)
Ecco che ancora più forte ci viene marcato il concetto alla base della memoria: si tratta non solo di un collegamento di sinapsi all'interno del nostro cervello ma molto di più, delle vere e proprie serie di impronte e di tracce di azioni, eventi costumi del passato (Cfr. Cati, 2016).
Da quest'ultima definizione si intende introdurre quindi il termine memoria legato a ciò che gli oggetti portano con sé: da una parte la memoria privata, legata alla storia dell'oggetto stesso, del proprietario e dell'uso che ve ne ha fatto, includendo così a sua volta altre persone e le loro storie, fino a creare un tessuto organico di centinaia di storie private; dall'altra parte la storia, intesa come ἱστορία o historia, ovvero un'esposizione ordinata di fatti e avvenimenti umani del passato con il risultato di un'indagine critica volta ad accertare la verità di questi sia le connessioni reciproche.
Sebbene le due definizioni possano sembrare molto distanti, al contrario, esse sono intrecciate l'una all'altra: considerando un oggetto con una valenza storica questo diventa una traccia culturale con un'importanza nella storia globale dell'uomo, testimone del passaggio, dell'utilizzo da parte di questo, andando così ad arricchire la storia e, di conseguenza, la memoria collettiva della società, divenendo quella che si può definire propriamente una testimonianza.
La struttura delle Wunderkammer diventa pertanto un vero e proprio contenitore di memorie: all'interno di esse sono racchiuse e conservate storie di genti e dal mondo.
A tal proposito, si inserisce l'idea per la valorizzazione dei materiali oggetto di questo scritto: della Zenit TTL e, il secondo oggetto presentato per il progetto Cronache del dopobomba la Wollensak Eye Matic C-46 (a cui si rinvia per la scheda): attraverso la digitalizzazione delle immagini prodotte da queste due camere, si può costituire una sorta di atlante delle emozioni.
L'etimologia di emozione racchiude in sé – scrive Giuliana Bruno nel suo volume dal titolo Atlante delle emozioni - il concetto di spostamento, migrazione, trasferimento da un luogo ad un altro, che è proprio alla base di questo scritto pertanto la creazione di questa mappa vuole essere un viaggio nei viaggi: componendo tale ideale cartografia si potranno accostare le immagini prodotte dal proprietario dei materiali e creare così una serie ordinata, o meno, di ricordi evocativi ed emotivi: si avrà piena libertà di scelta di porre una foto vicina piuttosto che un'altra a seconda di un qualsivoglia principio, che potrà essere estetico – integrità della foto, colore e composizione – o legato alle emozioni sprigionate dalla mera osservazione della fotografia o, ancora, a seconda di un possibile racconto da parte del fotografo inerente alla cristallizzazione del continuum fotografico presente nell'immagine, che si tradurrà poi in una sorta di cristallizzazione affettiva dove l'istante passato diverrà materiale; si potrà costituire una sorta di fil rouge attraverso gli spezzoni narrativi della vita del fotografo (Cfr. Berger, 2013; pp. 87 – 89) (Cfr. Cati, 2016, p. 132).
Ci si potrà poi muovere all'interno di questa piccola mappa composta da fotografie e didascalie descrittive, a proprio piacimento (Fig. 2a-2i).
Avidi di ricordi e pervasi dalla costante ansia dell'oblio, viviamo in un'epoca dove ricordare significa tutto e dimenticare è la paura più grande: fare affidamento esclusivamente alla mente e alla sua capacità di immagazzinare informazioni non ci basta, ricorriamo pertanto a mettere da parte libri, fotografie, oggetti che seppur inanimati ci trasmettono le sensazioni del passato, tanto da farcele rivivere grazie al solo sfioramento di essi.
Volendo riassumere il discorso possiamo dire che si è scelto di raccontare della cinecamera e della macchina fotografica inserendole nel progetto in quanto costituiscono un ricordo tangibile della vita del proprietario, mio nonno, arricchite dalla sua stessa testimonianza. Ho sempre ammirato quest'uomo, nonostante la poca istruzione scolastica, nel corso della mia crescita è riuscito a trasmettermi nozioni e lezioni molto più importanti del sapere: attraverso le sue storie, i suoi racconti circa i grandi viaggi in giro per il mondo, ha accresciuto in me la voglia di esplorare, di conoscere e con saggezza ricordare, tenere viva la memoria di quelle che sono state le vicende legate alla mia famiglia, che si sono protratte di generazione in generazione. Anche grazie a questi due materiali ora mi è possibile ripercorrere tutte queste tappe e sono in grado, in questo caso, di raccontarne creando così una sorta di album di famiglia, fatto di immagini, aneddoti, storia, racconti.
BIBLIOGRAFIA
BERGER, J. (2013), Understanding a Photograph, tr. it. di Maria Nadotti, Contrasto, Roma.
BRUNO, G. (2006), Atlas of Emotion. Journey in Art, Architecture, and Film. tr. it. di Maria Nadotti, Mondadori, Milano.
CATI, A. (2016), Gli strumenti del ricordo, Editrice La Scuola, Brescia.
KINGSLAKE, R. (1974) Wollensak, in "The Rochester Camera and Lens Companies", Photographic Historical Society, Rochester NY.
WESCHLER, L. (1999), Il gabinetto delle meraviglie di mr. Wilson, Adelphi, Milano.
SITOGRAFIA
Aa.Vv., The Wollensak Optical Company, in "Westech Optical Corporation"; https://www.westechoptical.com/blog/the-wollensak-optical-company (ultima consultazione Novembre 2020)
BOWRY, S. J. (2015) Re-thinking the Curiosity Cabinet:A Study of Visual Representation in Early and Post Modernity, University of Leicester; https://www.academia.edu/11398957/Rethinking_the_Curiosity_Cabinet_A_Study_of_Visual_Representation_in_Early_and_Post_Modernity (ultima consultazione Novembre 2020)
CAVINA, M. (2019), Wollensak UV Anastigmat. L'obiettivo venuto dallo spazio,in "Nocsensei"; https://www.nocsensei.com/camera/tecnica/marco-cavina/marcocavina/wollensak-uv-anastigmat-lobiettivo-venuto-dallo-spazio/ (ultima consultazione Novembre 2020)
CECCHI, D; SCOCCO C, (1974) La storia delle marche fotografiche, Officine URSS; http://www.guidafotousato.it/4-STORIA_MARCHE/testi/Fabbriche%20CCCP.htm (ultima consultazione Novembre 2020)