I Felt Screened Out, It Was Quite Electric
Tale of an Unrested Mind
I Felt Screened Out, It Was Quite Electric (2020)
Title | I Felt Screened Out, It Felt Quite Electric |
Cast | Giulia Dussich, Andrej Antonič |
Credits | Andrej Antonič, Kristian Qamirani, Giulia Dussich |
Country of reference | Italy/Slovenia |
Original Format | Digital, h.246, XAVC S (1080p, 50m/bit), 16:9 |
Original Duration | 24'11" |
Original Language | Italian/Slovenian |
Year of reference | 2020 |
Genre | Experimental, Media Art, Video Art |
Source | 28 LINES Productions (Andrej Antonič, Kristian Qamirani, Giulia Dussich), |
Link to site | https://www.youtube.com/channel/UCkyZicSCYMmXVnspIlZK9bA/ |
Link to video | https://youtu.be/BcsFLAS7I_k |
I Felt Screened Out, It Was Quite Electric. Tale of an Unrested Mind
di Andrej Antonic
Il termine screen in lingua inglese si riferisce a molteplici significati quali schermo (inteso come supporto visivo), schermo protettivo, barriera, ma allude anche al concetto di proiezione. Proiettare qualcosa significa scagliare fuori, indirizzare lontano, tendere concettualmente, astrattamente verso una condizione differente da quella in cui ci si trova.
Nelle pratiche cinematografiche la proiezione è un concetto complesso, materiale e allo stesso tempo intangibile, in quanto per “proiettare” una pellicola c’è la necessità di supporti meccanici, analogici, che permettono di trasporre una materia, a prima vista inerte, ferma, statica, tangibile (una diapositiva o una pellicola si può toccare con mano) in qualcosa di “virtuale”, immaginario, dandole nuova vita. Il tangibile proiettato, diventa intangibile, un fenomeno legato alle proprietà fisiche della luce. I concetti di “schermo” e “proiezione” sono entrambi legati all’atto della visione e all’esperienza della rappresentazione, concetti che implicano l’idea di separazione, incorporeità, distanza, distinzione, idee che fanno riflettere su un’esperienza estetica non tanto legata all’esperienza di coinvolgimento (engagement) dello spettatore in termini di affetto, emozione, empatia, ma hanno a che fare con l’esperienza di straniamento (disengagement) dello spettatore nei confronti di quello che viene rappresentato che di conseguenza offre più sbocchi interpretativi1.
Quando uno spettatore assiste a una proiezione, non è necessariamente spinto a considerare i supporti materiali che rendono possibile la proiezione. Esso è percettualmente, cognitivamente e somaticamente è catturato dalla manifestazione dell’immaginario, cioè dalla luce che viene proiettata su degli oggetti tangibili (pareti, schermi, ecc.). La sua attenzione è rivolta a un’evidenza fittizia, in quanto vede, percepisce quello a cui sta assistendo, ma non può toccarlo con mano, non ne può fare parte tangibilmente, per questo motivo anche lo spettatore è succube di un auto-proiezione cognitiva, è portato a proiettarsi con il pensiero, i sentimenti e sensorialmente nella visione di cui è testimone.
Le teorie del cinema hanno da sempre ragionato sulle questioni accennate e in definitiva l’atto di proiezione pone le sue fondamenta sul concetto del dualismo tra tangibile (supporti che permettono di manifestare l’intangibile) e intangibile (manifestazione dell’immaginario mediante luce e suoni).
Realizzato durante il periodo di quarantena e alimentato dal senso di straniamento e di sospensione tra più stati dell’esistenza, il mediometraggio I Felt Screened Out, It Was Quite Electric propone una riflessione sul dualismo dell’atto di proiezione. La prima parte del titolo – I felt Screened Out / Mi sono sentito proiettato fuori (al di fuori) – suggerisce il sopravvento del carattere intangibile dell’atto di proiezione, il sopravvento dell’immaginario sul reale (tangibile). La seconda parte del titolo – It Was Quite Electric / era davvero elettrico – suggerisce il carattere tangibile, somatico, percettivo dell’atto di proiezione. In questo caso il riferimento all’elettricità, alla corrente elettrica, è esplicitato in quanto essa permette la manifestazione dell’immaginario. Tutti i dispositivi che appaiono nel corso del mediometraggio nonché tutti quelli che hanno permesso di riprendere e in ultima fase montare e postprodurre il materiale, devono essere alimentati dalla corrente elettrica.
Il sottotitolo (Tale of an unrested mind – Storia di una mente inquieta) suggerisce la difficoltà di conciliare il dualismo dall’atto di proiezione da parte del protagonista. Il quale all’inizio si circonda di dispositivi ed è investito da una molteplicità di informazioni (intangibili: schermi-immagini, trasmissioni radio, registrazioni audio-visive) finché non finisce per subire una scarica elettrica e perdere il contatto con la realtà tangibile.
In particolare ciò mette in evidenza la condizione esperienziale in cui è posto il protagonista e su cui vorrei soffermarmi. In primo luogo è esso stesso che si circonda di dispositivi e ne controlla il funzionamento creando uno spazio a se stante, un luogo dove i diversi media e le informazioni da loro prodotte convergono e si contaminano creando un esperienza rapsodica di significato. Secondo Miriam Hansen l’esperienza dello spettatore è un’esperienza
che media percezione individuale e significato sociale, processi consci ed inconsci, perdita di sé e autoriflessività, esperienza come capacità di cogliere connessioni e relazioni (Zusammenhang); esperienza come la matrice di temporalità conflittuali, di memoria e di speranza, inclusa la perdita storica di queste dimensioni2.
Una tale condizione si pone come chiave di lettura per decifrare le dinamiche intercorrelate di significati prodotti nel mediometraggio ed esplicita il concetto di intermedialità, termine che chiarisce le relazioni instaurate in «un mondo di accumulo di media e dispositivi diversi»3. Laddove per intermedialità si intende:
intreccio tra linguaggi, tra linguaggi delle arti e possibilità dei media, tra natura sensoriale e natura virtuale; non semplicemente “sinergia”, “contaminazione”, “commistione”, interferenza reciproca, riverbero tecnologico su linguaggi classici. Non è moltiplicazione dei linguaggi in scena (o di un quadro o di un’immagine in movimento), quanto estensione reciproca di linguaggi e media in una logica non quantitativa né deterministica né necessariamente tecnologica4.
Colto in questa prospettiva il mediometraggio offre anche una riflessione sulle dinamiche dell’intermedialità create tra i diversi media rappresentati e una documentazione di dispositivi che appartengono a diversi periodi storici, proponendo infine una riflessione sulle trasformazioni delle tecnologie e il modo in cui vengono impiegate nel processo di creazione di materiali audiovisivi.
1 Cfr. G. Avezzù (2019), The deep time of the screen, and its forgotten etymology, «Journal of Aesthetics & Culture», 11:1.
2 M. Hansen (2012), Cinema and Experience: Siegfried Kracauer, Walter Benjamin, and Theodor W. Adorno, University of Carolina press, Berkeley-Los Angeles-London.
3 V. Catricalà (2016), Media Art, Prospettive delle arti nel XXI secolo, Mimesis edizioni, Milano-Udine.
4 M. M. Gazzano (2013), Kinema. Il cinema sulle tracce del cinema. Dal film alle arti elettroniche, andata e ritorno, Exòrma, Roma, p.208.
I Felt Screened Out, It Was Quite Electric. Tale of an Unrested Mind
Tassonomia dei dispositivi
Dispositivi di ripresa:
- Sony α 7 II (2014)
- Nikon Coolpix L340 (2012)
La scelta è stata fatta per mettere a confronto e integrare le potenzialità e i limiti dei rispettivi dispositivi che hanno specificità diverse per quanto riguarda il formato di ripresa e il formato dei file prodotti (Sony α 7 II – XAVC S (50m/bit, 1080p), Nikon Coolpix L340 (MOV, h.264).
Dispositivi presenti nel mediometraggio:
Microfono Shure SM58 Dynamic Microphone (00:00 – 01:47, 02:24 -03:58, 20:28 – 21:11)
LCDTV Q.Bell QBT.32ED (02:24 -03:58, 04:03 – 06:12, 08:33 -11:35, 14:34 -16:14, 19:00 -20:16, 20:29 – 21:11)
Personal Computer HP Pavillion dv6 (05:06 – 05:3, 08:33 -11:35, 14:34 -16:14, 17:04 – 18:25
Modem Fastweb MediaAccess TG582n v2 R14.2 Emerald (12:24 – 13:03)
TV (a tubo catodico) Philips 14PT135A/00 (02:24 -03:58, 05:06 – 05:31, 08:33 – 11:35, 14:34 -16:14, 17:04 – 18:25, 19:00 -20:16, 20:29 – 21:11)
Macchina da scrivere Olivetti Lettera 22 (02:24 -03:58)
Colonna Sonora:
Sono state impiegate diverse tecniche di registrazione sonora, postproduzione sonora e sound design. Per le registrazioni sono stati impiegati microfoni a contatto per registrare i microsuoni emanati dai vari dispositivi (suono della corrente che alimenta i dispositivi, il suono prodotto dal processore e dal hard disk del computer portatile, suoni emessi dalla TV a tubo catodico), chitarre elettriche, effetti analogici e digitali, registrazioni sonore ambientali, registrazione di programmi radiofonici.
I Felt Screened Out, It Was Quite Electric. Tale of an Unrested Mind
Analisi interpretativa
Il mediometraggio I Felt Screened Out, It Was Quite Electric propone una riflessione sull’esperienza spettatoriale in rapporto con il concetto di intermedialità. Per impostare un’analisi interpretativa si è fatta la scelta di dividere il mediometraggio in quattro fasi, in modo da rendere esplicite le dinamiche complesse di significato dell’opera audio-visiva.
Prima fase
La prima fase (dal minuto 00:00 al minuto 06:44) è stata definita come fase di inquadramento e contestualizzazione. In questa prima fase si può osservare il protagonista muoversi nel suo ambiente specifico, intento a registrare, documentare un ambiente sonoro.
Nella terza scena viene inquadrato il microfono, che a differenza delle prime due scene, non registra, ma emana suoni di interferenza e feedback audio1. A questa realtà sonora vengono accostate 2 scene premonitrici: la prima, che presenta il titolo dell’opera in una rapsodia lisergica di insegne neon, con l’apparizione di una testa di un manichino di plastica e una candela, due oggetti tangibili ricorrenti durante lo sviluppo del mediometraggio. L’accostamento del virtuale, intangibile, figurativo e del tangibile (manichino e candela) accomuna due realtà mediatiche di natura differente. Mentre le insegne sono legate all’era digitale, elettrica, contemporanea, la candela ed il manichino sono dei medium legati ad epoche che precedono l’avvento tecnologico e la rivoluzione digitale.
La candela (fuoco), emanando luce da una reazione naturale legata ai principi della termodinamica, rimane un medium insuperabile, anche se messo in secondo piano dallo sviluppo tecnologico per le varie applicazioni della corrente elettrica.
Nelle fasi successive si andrà ad analizzare più affondo il carattere significativo della candela in quanto l’oggetto apparirà nello sviluppo dell’opera in momenti determinanti.
La seconda scena premonitrice presenta due riprese sovraimpresse, la prima inquadratura pone al centro dell’immagine il disegno di un occhio e due paia di mani, rispettivamente a destra e a sinistra dell’occhio. La scena allude ad un rituale consacrato alla visione, allo sguardo, all’osservazione.
La seconda è un piano sequenza che segue il cavo del microfono lungo un corridoio, scena indice della ripresa della narrazione, in quanto seguendo il cavo si approda all’interno, in un ambiente nuovo. Questa transizione viene esplicitata dalla dissolvenza della traccia sonora.
La ripresa della narrazione si esplicita nella scena seguente, dove mediante una carrellata, vengono inquadrati degli specchi che riflettono gli oggetti e la stanza, decontestualizzando lo spazio e le dimensioni di questo ambiente, in quanto alcuni oggetti sono visibili solo nel riflesso dello specchio e non possono essere collocati esattamente, tangibilmente nello spazio, mentre altri vengono duplicati (come ad esempio il microfono e la macchina per scrivere). Questo effetto di estensione figurativa della visione mediante il riflesso prodotto dagli specchi suggerisce una riflessione sul rapporto tra supporti (media) e le informazioni prodotte da essi, in quanto le informazioni hanno un carattere figurativo e non necessariamente rimandano al supporto che le ha create. A questo proposito, in questa scena si può osservare un microfono che non è collegato a un supporto di amplificazione.
La scena palesa l’evidente finzione a cui è sottoposto lo spettatore, intento rinforzato dalla traccia sonora che riprende un frammento del dramma radiofonico diretto e narrato da Orson Welles War of the worlds (La guerra dei mondi), dramma/fiction che all’epoca (1938) sfuocò il confine tra realtà e finzione.
Durante la carrellata appare, riflessa nello specchio, anche una TV a tubo catodico dal segnale disturbato, indice figurativo e metaforico del contesto diegetico.
Nella scena seguente, si può osservare il protagonista che interagisce con i diversi dispositivi che lo circondano. La scena è costruita con diverse sovrimpressioni della situazione basandosi sulla potenzialità speculativa dell’immagine digitale. Il protagonista scompare e riappare in diverse posizioni senza attenersi ad una logica di causa-effetto. Le immagini sono accompagnate da diverse tracce sonore tra cui le più rilevanti soni i rumori di brusio elettronico prodotti dai vari dispositivi che circondano il protagonista e una registrazione audio del cambio di frequenze radiofoniche. Indice di una cercata sintonizzazione ma mai portata a termine.
La scena è intesa come luogo virtuale, fittizio, creato dal protagonista, nel quale convergono le informazioni prodotte dai vari media che instaurano dei rapporti di significato che non rimandano ai rispettivi supporti. Secondo Marshall McLuhan «nessun medium esiste o ha significanza da solo, ma soltanto in un continuo rapporto con altri media»2.
In questo luogo-artefatto dove le informazioni mediatiche confluiscono, interferiscono e si modulano tra di loro si può, ulteriormente, fare riferimento al concetto di “rimediazione”, termine coniato da Bolter e Grusin che esplicita le relazioni tra diversi media «ogni medium non esiste da solo ma continuamente si appropria di tecniche e significati sociali di altri media e cerca di competere con loro o di rimodellarli in nome del reale»3.
Questa prima fase del mediometraggio pone le basi per comprendere lo svolgimento dell’opera che nelle fasi successive approda in situazioni e soluzioni audio-visive prettamente astratte, speculative e oniriche, dove i supporti mediatici vengono dimenticati e prevale il carattere intermediale che si instaura tra le informazioni dei diversi media. A questo proposito, le fasi successive, possono essere interpretate e apprezzate più affondo esplicitando il concetto di “Pictorial Turn” formulato da W. J. T. Mitchell una riscoperta postlinguistica e postsistemica dell’immagine intesa come un’interazioni complessa tra visualità. Apparato, istituzioni, discorso, corpi e figuratività. È la consapevolezza che l’essere spettatore (il guardare, lo sguardo, il colpo d’occhio, le pratiche di osservazione, sorveglianza e il piacere visivo) può essere una questione altrettanto profonda delle varie forme di lettura (decifrazione, decodificazione, interpretazione...) e che l’esperienza visiva e l’ “alfabetizzazione visiva” potrebbe non essere completamente spiegabile sul modello della testualità classica4.
Seconda fase
La seconda fase del mediometraggio (che va dal minuto 06:20 al minuto 10:18) è una sequenza che si apre e termina con l’apparizione di una clessidra che segnala una digressione temporale e spaziale. Nella prima scena di questa fase si possono osservare varie immagini sovraimpresse di una clessidra fluttuante, scena che è stata costruita mediante il riflesso dell’oggetto in uno specchio. La particolarità sta nel fatto che i granelli di sabbia non cadono, non scorrono, ma l’oggetto esiste in uno spazio a se stante non rispondendo al flusso lineare del tempo, mentre la traccia sonora riverberata produce svariati echi, moltiplicando il segnale sonoro producendo la sensazione di svariate fonti sonore acusmatiche (dimensioni parallele si palesano all’unisono).
Tramite una dissolvenza incrociata si approda alla scena seguente, dove viene inquadrata una parte del volto di una ragazza (Giulia Dussich), mentre il resto del viso è fuori campo, inondato di luce blu e rossa intermittente. La scena è un breve piano sequenza nel quale la mdp inquadra prima il volto reale, ma non nella sua totalità, per poi inquadrare il riflesso del volto in uno specchio. Solamente una volta inquadrato il volto virtuale, riflesso, la mdp ritorna al volto reale inquadrandolo per intero. A questo proposito, dove un’immagine riflessa, virtuale, immaginaria si impone sulla realtà, Gilles Deleuze propone la seguente riflessione:
l’immagine allo specchio è virtuale in rapporto al personaggio attuale che lo specchio cattura, ma è attuale nello specchio che lascia al personaggio soltanto una semplice virtualità e lo respinge fuori campo.
Quando le immagini virtuali proliferano in questo modo, il loro insieme assorbe tutta l’attualità del personaggio, mentre il personaggio è ormai solo una virtualità tra le altre5.
La riflessione fa approdare all’idea che lo spettatore è posto difronte ad una realtà onirica che oscilla tra reale e virtuale, tra corpo-oggetto materiale e corpo-oggetto riflesso (intangibile), senza poter distinguere il sogno dalla realtà.
Con la scena successiva lo spettatore è pienamente immerso nella virtualità, nell’onirico, siccome essa si presenta costruita con varie sovrimpressioni e immagini dalla temporalità invertita (le gocce d’acqua non cadono ma salgono, si ricompongono e i capelli si muovono verso destra, quasi avessero vita propria). La scena presenta un annullamento del fluire del tempo, segnalando allo spettatore il prevalere dell’intangibile, dell’immaginario sul tangibile, reale.
Se queste scene fino ad ora presentate rappresentano un’iniziazione alla sospensione della temporalità, la scena seguente presenta allo spettatore la coesistenza di diverse temporalità inscritte nell’inquadratura. La sequenza in questione è stata costruita mediante varie sovrimpressioni di schermi e immagini e scene dalla temporalità invertita, tutte presenti nella stessa inquadratura, accompagnate da varie registrazioni sonore di programmi radiofonici.
Una delle scene più significative di questa sequenza è l’apparizione dello schermo della TV a tubo catodico, circondato dall’oscurità, mentre la traccia sonora palesa un disturbo di segnale. Mano amano che il segnale sonoro si nitidizza, si nitidizza anche l’immagine, svelando la collocazione della TV che prima era incollocabile nello spazio. Dopo uno stacco, lo spettatore è trasportato in una situazione precedente della dimensione diegetica, infatti si può osservare il protagonista assorto nell’utilizzo del computer portatile.
Nel corso della scena la mdp focalizza sullo schermo della TV lasciando il protagonista e i dintorni sfuocati. Quando questo accade anche la traccia sonora viene disturbata, suggerendo il sopravvento della virtualità. Anche perché nella scena seguente vengono inquadrate la TV e la clessidra, mentre un braccio proveniente dal fuori campo, continua a capovolgere la clessidra freneticamente, simbolicamente inteso come un gesto che impedisce il fluire del tempo, il tutto accompagnato da un rumore meccanico che si ripete all’infinito.
Questa seconda fase del mediometraggio presenta un’iniziazione alla dimensione onirica, virtuale mediante degli elementi ricorrenti, inscritti nelle inquadrature. In riferimento alle varie scene descritte, esse si potrebbero definire immagini-sogno, concetto definito da Gilles Deleuze laddove le immagini-sogno sembrano a loro volta possedere due poli, distinguibili a partire dalla loro produzione tecnica. Uno procede con mezzi ricchi e sovraccarichi, dissolvenze, sovrimpressioni, disinquadrature, complessi movimenti di macchina, effetti speciali, manipolazioni di laboratorio, spinti fino all’astratto, tendenti all’astrazione. L’altro al contrario, è molto sobrio, poiché opera mediante tagli netti o montaggio-taglio, procede unicamente a un continuo sganciamento che «fa» sogno, ma tra oggetti che rimangono concreti. La tecnica dell’immagine rinvia sempre a una metafisica dell’immaginazione, sono praticamente due materie di concepire il passaggio da un’immagine all’altra. A questo proposito, gli stati onirici stanno al reale un po’ come gli stati «anomali» di una lingua stanno alla lingua corrente: a volte sovraccarico, «complessificazione», sursaturazione, a volte al contrario, eliminazione, ellissi, rottura, taglio, sganciamento6.
Questa fase del mediometraggio suggerisce il sopravvento dell’immaginario mediante immagini-sogno, queste immagini secondo Gilles Deleuze sono costrette «ad attribuire il sogno a un sognatore e la coscienza del sogno (il reale) allo spettatore»7.
Terza fase
La terza fase del mediometraggio (che va dal minuto 10:20 al minuto 21:12) si apre con la scena dove il protagonista subisce una scarica elettrica in quanto non riesce a sbrogliare dei cavi. Anche i dispositivi smettono di funzionare. Sotto questa prospettiva i dispositivi ed il corpo del personaggio sono entrambi inerti, senza energia, senza alimentazione. Il fatto fa intendere che l’elettricità accomuna i media ed il protagonista fondendoli insieme metaforicamente.
A questa scena segue una sequenza di montaggio alternato tra l’immagine del corpo inerte del protagonista e 2 scene di catastrofi naturali, la prima un’onda anomala che si abbatte su se stessa, la seconda presenta del magma incandescente che fonde la materia. Il montaggio accomuna, concettualmente la perdita di coscienza, l’entrata nel mondo onirico da parte del protagonista, con degli eventi relativi alla natura, che di solito vengono interpretati con negatività, ma in questo caso l’intento era di accomunare la perdita del sé con degli eventi che in natura accadono continuamente (sono eclatanti e disturbanti solo per l’umanità). Anche la perdita di coscienza non è una questione eclatante, in quanto di solito, nessuno si preoccupa di dove finisce il senso del sé durante il sonno.
La sequenza in questione intende comunicare l’avvento dell’immaginario sul reale accomunando il divenire del personaggio e dei dispositivi fondendoli insieme tramite l’elettricità. In termini deleuziani l’immagine cinematografica diventa una presentazione diretta del tempo, secondo rapporti non-commensurabili e interruzioni irrazionali. Dall’altra questa immagine-tempo mette il pensiero in rapporto con un impensato, l’inevocabile, l’inesplicabile, l’indicibile, l’incommensurabile. Il fuori o il rovescio delle immagini hanno sostituito il tutto, mentre l’interstizio o lo stacco hanno sostituito l’associazione8.
Deleuze riflette sulle dinamiche di significato che si instaurano tra le immagi (immagini-sogno, immagini-tempo), dinamiche non esemplificabili (sempre) quantitativamente e qualitativamente perché tendono al surreale, all’astratto. A questo proposito, la scena che segue presenta un movimento di macchina che fa penetrare l’inquadratura nello schermo della TV. Lo spettatore vede prima il virtuale delimitato dal telaio della TV, in seguito l’inquadratura penetra nel virtuale (schermo bianco) per poco dopo venire assorbito, dissipato nell’oscurità. Questo piano sequenza pone lo spettatore in uno stato di limbo, dove il confine tra reale e immaginario si confondono. Secondo Deleuze da una parte non conta più l’associazione delle immagini, il modo in cui si associano, ma l’interstizio tra due immagini; dall’altra, lo stacco in una successione d’immagini non è più uno stacco razionale che segna la fine dell’una o l’inizio di un’altra, ma uno stacco così detto irrazionale che non appartiene ne all’una né all’altra e comincia ad avere valore per se stesso9.
In questa prospettiva la scena vuole inscenare la dimenticanza dei concetto di temporalità inteso come chronos, successione lineare e cronologica del tempo, per inscenare la temporalità intesa come aeon, temporalità ciclica, senza passato o futuro, fissa nel presente infinito. Una dimensione temporale a sé stante, dove gli oggetti, i corpi e le azioni non divengono, ma esistono in tutte le loro possibilità di esistere, racchiuse nella durata del mediometraggio. A questo proposito nella seguente sequenza si possono vedere delle scene dove il protagonista viene presentato in uno stato di ibernazione, mediante immagini riflesse, costruite mediante uno specchio. Una delle scene di spicco di questa sequenza a-temporale presenta la mano del protagonista, inondata di luce rossa, che si muove sopra uno specchio. La presenza dell’acqua e della luce producono nel riflesso un effetto estetico-visivo che deforma le figure presenti nell’inquadratura. Durante la scena la mdp focalizza sul riflesso di un modem, mentre il resto dell’inquadratura è sfuocata (12:49). Il modem, allude metaforicamente all’interconnessione virtuale, un link ipertestuale, una dimensione che ingloba e connette diverse realtà, media e informazioni.
Nelle scene seguenti (dal minuto 14:34 al minuto 16:56) la ragazza viene presentata come una musa, una sacerdotessa della luce, del fuoco, dell’atto di illuminare. È lei che consacra l’atto della visione porgendo la candela verso un altare fittizio, posto nel fuori campo (16:42). La ripresa svela una figura che rimanda ad un occhio, sul fondo della candela. Queste scene rimandano al concetto di un cinema di rivelazione, in cui la sola schiavitù è quella dei corpi e la sola logica quella delle concatenazioni d’atteggiamenti: i personaggi si formano gesto dopo gesto e parola dopo parola, a mano a mano che il film procede, si fabbricano da sé, poiché la ripresa agisce su di essi come un rivelatore, ogni studio del film permette un nuovo sviluppo del loro comportamento, in quanto la loro stessa durata coincide esattamente con quella del film10.
In questa terza fase ci sono due scene che si presentano come installazioni audiovisive inscritte nell’inquadratura. Nella prima scena (17:03) si può osservare uno specchio, posto al centro dell’inquadratura che però non riflette immagini ma ha una funzione di schermo per due immagini sovraimpresse: la TV in basso, mentre l’altra è una ripresa di una pozzanghera che riflette una luce, ed in seguito la ripresa della pozzanghera viene sostituita da una scena costruita in postproduzione modulando i pixel, attribuendo al riflesso della luce una caratteristica liquida (17:31).
La seconda scena (20:29) presenta inscritti nell’inquadratura vari schermi, diverse temporalità che confluiscono nell’inquadratura all’unisono. Un’inquadratura dedicata alla fantasmagoria audiovisiva, un sovraccarico visivo e sonoro, che descrive l’esperienza spettatoriale della visone del mediometraggio. A questo proposito Massimiliano Gioni riflette su come la pratica delle installazioni in arte ha creato degli ambienti immersivi che polverizzano ogni senso di unità. Ancora nella sua apertura interconnessa nella molteplicità dei riferimenti e nel caotico abbraccio di materie e oggetti di desiderio, l’installazione crea delle esperienze con la stessa grandiosità associata alla scultura monumentale. L’installazione riflette i bombardamenti di dati che formano la fase matura della società dell’informazione. Descrive l’estasi della comunicazione, la sublime consapevolezza di essere solo un nodo in un flusso in espansione di connessioni istantanee diffuse per il globo11.
Quarta fase
La quarta, e ultima, fase del mediometraggio (Che va dal minuto 21:12 al minuto 23:47) presenta il risveglio del protagonista mediante un piano sequenza. Il protagonista appare confuso e straniato mentre si possono osservare i vari oggetti ricorrenti nel mediometraggio come la clessidra, la candela, la maschera e la TV. Esso ancora in preda alla confusione vede la TV e esitante si avvicina allo schermo per poi ricadere nella virtualità. A questo punto il protagonista si mette a fissare lo schermo e si proietta nell’immaginario, incapace di scindere la realtà dal virtuale.
Quando l’inquadratura viene inglobata dallo schermo della TV appare un altro personaggio che pronuncia le parole: “Cos'è successo? Una storia...” (23:23). La frase si ricollega al sottotitolo (Tale of an unrested mind – Storia di una mente inquieta) sottolineando il carattere fittizio di tutto quello che è appena accaduto.
A questo proposito, per concludere, Gilles Deleuze descrive lo schermo come «la membrana celebrale in cui si affrontano immediatamente, direttamente, il passato e il futuro, l’interno e l’esterno, senza possibilità di stabilire una distanza, indipendentemente da qualsiasi punto fisso»12; riflessione che sintetizza i vari concetti esplicitati e i significati prodotti dal mediometraggio, puntualizzando sul fatto che gli schermi, al giorno d’oggi non sono solo dispositivi atti alle rappresentazione, ma sono dispositivi che permettono di intervenire sulla realtà13.
1Il feedback accade quando il segnale di output viene riflesso su se stesso. Si crea un circuito chiuso di segnale che si ripete all’infinito.
2Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2002, cit. da Valentino Catricalà, Media Art. Prospettive delle arti nel XXI secolo. Storie, teorie, preservazione, Mimesis, Milano 2016, p. 95.
3Jay D. Bolter, Richard Grusin, Remediation, Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini, Milano 2002, cit. da Valentino Catricalà, Media Art, op. cit. , Ibidem.
4 William J. T. Mitchell, Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale, Duepunti, Palermo 2008, da Valentino Catricalà, Media Art, op. cit., p. 93.
5 Gilles Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, Giulio Einaudi, Torino 2017, p.83.
6 Ivi, pp. 68-69.
7 Ivi, p. 69.
8 Ivi, p. 250.
9 Ivi, p. 233.
10 Jean-Louis Comolli, Cahiers du cinéma, n. 205, ottobre 1968, cit. da Gilles Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, op. cit., p. 224.
11 Massimiliano Gioni, Ask the dust, in Unmonumental. The object in the 21° century, catalogo della mostra, New York, Phaidon, p. 65, cit. da Valentino Catricalà, Media Art, op. cit., p.80.
12 Gilles Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, op. cit., p.147.
13 Ian Hacking, Representing and Intervening: Introductory Topics in the Philosophy of Natural Science, Cambridge University Press,Cambridge, UK 1983, cit. da Craig Buckley, Rüdiger Campe, Francesco Casetti, Screen Genealogies. From Optical Device to Environmental Medium, Amsterdam University Press, Amsterdam 2019, p. 6.