La cura Covid
La “super-violenza” vista dalla quarantena
Il corpus: l'uomo ucciso
Il corpus è composto di cinque titoli: The Last of the Mohicans (Clarence Brown e Maurice Tourneur, 1920); West and Soda (Bruno Bozzetto, 1965); A Clockwork Orange (Stanley Kubrick, 1971); Free State of Jones (Gary Ross, 2016); Too Old to Die Young (Nicholas Winding Refen, 2019, episodio 5).
Un elemento comune ai film presi in esame è la rappresentazione dell’uomo ucciso. Che si tratti di un’esecuzione (Too Old to Die Young), un linciaggio (Free State of Jones), una strage (The Last of the Mohicans) o di un “goffo incidente” (West and Soda), il cadavere dell'uomo ucciso viene mostrato in scena. Le differenze stanno nel modo in cui viene esibito, nella posa e nella porzione di corpo mostrato, nel tempo
dedicatogli.
Archetipi. La super-violenza vista dalla quarantena
di Alfonso Blasina
Ho voluto prender nota di vari titoli di film che ho potuto guardare durante il periodo della quarantena per poter fissare alla memoria le impressioni e gli stati d’animo che più colpiscono la mia sensibilità.
Lo stato di confinamento nella mia abitazione, nella mia camera, seduto sulla sedia di fronte alla scrivania, lo associo a quello di Alex, costretto a subire la “Cura Ludovico”. Al pari del protagonista di Arancia Meccanica che subisce, senza via di fuga, l’aggressione di immagini violente proiettate su uno schermo, così io vengo impressionato da forti immagini rielaborate dal mio computer casalingo. A differenza di Alex, però, ho la (quasi) piena libertà di scelta e così ho voluto selezionare, annotare e progressivamente riunire più titoli e film che ho avuto la possibilità di visionare durante la quarantena del Covid.
In via intuitiva, ho preso consapevolezza che in questo periodo di emergenza e di confinamento la mia attenzione durante la visione di film di finzione si focalizza sugli aspetti e dettagli della narrazione più cupi, macabri, violenti. La violenza estrema messa in scena nelle finzioni filmiche, in particolare quella ultra-violenza concettualizzata in Arancia Meccanica e riproposta in altri film, è sempre stata motivo di attrazione per me che mi sono dedicato spesso, da semplice spettatore, ad analizzarne i meccanismi e significati.
Normalmente, trovo di mio gradimento opere ricercate di registi come, ad esempio, Tarantino, Kubrick, Scorsese, i quali spesso implicitamente affiancano alla violenza esibita un punto di vista morale e una sofisticata ironia. Tali impressioni non derivano solo dal testo ma anche dalle modalità di ricezione e interpretazione spettatoriale che contribuiscono a attribuire un giudizio morale e un motivo ironico a tali “super-violenze”. Tuttavia, durante il periodo di quarantena, il giudizio ironico viene fortemente subordinato al giudizio morale, provocando in me uno stato d’animo greve, appesantito dal riflesso nel mondo reale della finzione cinematografica e del mondo reale nella finzione.
In conclusione: il ragionamento su temi forti proposti dai vari film si intensifica in tempi Coronavirus e ne conseguono un ragionamento critico e morale e uno stato psicologico che intendo archiviare e conservare nella mia memoria.
Archetipi. La super-violenza vista dalla quarantena
In piena emergenza Covid-19, il confinamento domestico viene liberamente associato alle condizioni di immobilità di Alex in Arancia Meccanica. Similmente a soggetti-oggetto alla conosciuta ‘pratica Ludovico’, ci si immagina di essere dei pazienti che devono essere curati da pulsioni negative generate dal clima di disagio. Vengono cercati in rete alcuni film dalla spiccata violenza che possano favorire un processo catartico. Si viene così a costituire un archivio privato di scene e sequenze selezionate, andato a costituirsi in profili digitali dello stesso autore, tra i servizi di streaming online quali Netflix (N), Prime Video (PV) e YouTube (YT). In particolar modo si sono selezionati quattro produzioni, più incisive rispetto ad altre, per le scene fascinose e al contempo perturbanti. Quattro titoli selezionati. West and Soda (PV) è un film d’animazione italiano del 1965. È una caricatura del genere western americano. Free State of Jones (N), 2016, è un film liberamente ispirato ad accadimenti successi durante e dopo la guerra di secessione americana. Le scene e i personaggi presi in esame, tuttavia, sono frutto di fantasia dell’autore. The Last of the Mohicans (YT), adattamento dell’omonimo romanzo. Versione digitale di dubbia datazione della pellicola del 1920. La fruizione ha risentito particolarmente della scarsa qualità dell’immagine e del sonoro. Infine, Too Old To Die Young (PV), serie televisiva originale Prime Video, di cui è stato preso in esame il quinto episodio.
West and Soda (1965)
In uno sperduto villaggio del selvaggio West, un ricco proprietario terriero senza scrupoli, il "Cattivissimo", che si serve di due violenti scagnozzi, Ursus e lo Smilzo, mantiene il potere con la paura e vuole impadronirsi dell'ultimo terreno fertile, di proprietà della giovane Clementina, che vive in un piccolo ranch con la sola compagnia dei suoi animali. Quando la sua ennesima proposta di matrimonio viene respinta dalla ragazza, il Cattivissimo decide di scatenare i suoi uomini, ma la situazione cambia per l'arrivo del misterioso Johnny. Clementina si prende cura del cowboy, ma non riesce a farlo uscire da uno stato di completa apatia. Quando questi si reca al saloon, disarmato, viene malmenato da Ursus e dallo Smilzo, senza reagire e, durante la rissa, perde una pepita d'oro, che attira l'interesse del Cattivissimo. Fallito ogni tentativo di scoprirne la provenienza direttamente da Johnny, inclusa la tortura con delle formiche del deserto, il Cattivissimo decide di far rapire Clementina. A questo punto il cowboy risorge e, trasformatosi in un pistolero, elimina il Cattivissimo per poi sbaragliare i due in un duello, secondo i dettami del genere western.
Un nome parlante. Diretto, chiaro, preciso. Il cattivissimo è la persona peggiore che potesse esistere al mondo. A lui viene dedicata un’intera sequenza che lo ritrae annoiato, in attesa dei suoi scagnozzi, quando decide di passare il tempo ammazzando una mosca, che preleva da una piccola gabbia. La povera bestiola ronza per il salone, (meravigliosi sfondi di Giovanni Mulazzani) scoprendo un arredamento che sembra parlare della personalità del Cattivissimo e della vita che egli conduce. Terminato il crudele rituale, il nostro serial killer di mosche riceve una telefonata. Non sentiamo l’interlocutore, ma le poche battute del Cattivissimo bastano a farci conoscere i suoi loschi affari ai danni dello sceriffo, rappresentante della legge.
Dopotutto, non sembra essere fuori luogo trovare nella finzione del film dei riferimenti diretti alla criminalità organizzata nella realtà, in special modo a quella dell’Italia degli anni Sessanta. Nonostante la tecnica di disegno, lo stile parodistico, la struttura archetipica ripresa da un genere per ragazzi, non stupisce che lo spettatore possa accantonare il ludibrio, “spegnere la risata” anche in questo contesto, qualora le condizioni di visione e lo stato psicologico (il periodo negativo legato al Covid-19) incoraggino un punto di vista sufficientemente critico.
Free State of Jones (2016)
Tratto da una storia vera, Free State of Jones è il racconto di un uomo, Newton Knight che si ribella alla Confederazione per organizzare una banda che svolge una guerriglia contro le truppe sudiste. Nel film sono presenti molti personaggi fittizi, tra cui Moses, un ex schiavo afroamericano. Tutte le vicende offrono molti spunti di riflessione, che in questa sede devono essere messi da parte, in ragion del fatto che il film parla della storia di un popolo molto distante da noi, nel tempo e nello spazio, e riflette su problematiche di origine culturale troppo specifiche per essere generalizzate e paragonate alle nostre. Concentrandosi sul linciaggio di Moses da parte di alcuni schiavisti bianchi, useremo un approccio analitico, iniziando con una sommaria descrizione della scena, per poi giungere all’interpretazione iconologica.
Moses ha raccolto il censimento di molti lavoratori neri (non più schiavi dopo la guerra) ed è sulla via di casa. Viene braccato da tre uomini indistinti che lo chiamano da lontano con fare di scherno. Cresce la preoccupazione dell’uomo che comincia a correre per non essere raggiunto. Stacco. I fogli del quaderno di Moses sono sparpagliati davanti casa sua. La moglie li riconosce e in lacrime lo chiama invano. Stacco. Newton trova l’amico denudato e impiccato a un grande albero sul ciglio della strada.
Moses è stato ucciso. Tutto è successo lontano dalla macchina da presa che inquadra tutti gli elementi sufficienti a darci un'idea di ciò che è accaduto, oltre che della dimensione temporale. Per capire le dinamiche dell’omicidio dovremo affidarci a tutti gli elementi narrativi enunciati dal film, ovvero alle immagini che possiamo vedere e rivedere. Differentemente, vi sono alcuni punti visivi e sonori che esulano dalla narratività e bisogna che siano fatti oggetto di interpretazione.
I tre –probabili- carnefici vengono anticipati dalla voce fuori campo, poi vengono inquadrati lontani, vaghi, fuori fuoco, alle spalle di Moses e infine in campo lungo, mentre lo rincorrono. Il protagonista assoluto della prima scena è dunque Moses. La macchina da presa indaga il suo volto, gli gira attorno; poi, lo abbandona, si distacca, prende le distanze da ciò che fatalmente accadrà. Entra in campo Newton visibilmente scosso, con gli occhi gonfi. La macchina da presa segue il suo sguardo che va prima in terra, su un mucchio di gusci di noccioline, poi sale rivelando parte di un corpo oscillante. La macchina da presa ci restituisce una soggettiva di Newton, rivelando il volto tumefatto e strangolato di Moses, ormai deceduto. La sequenza si conclude, ancora una volta, con il distanziamento in campo lungo.
Analizziamo infine quegli elementi muti e insieme eloquenti. Le pagine raccolte dalla moglie di Moses non sono leggibili per lo spettatore, ma lo sono per lei, che ne riconosce il proprietario e lo informa. Chi sarà stato a strapparle dal quaderno e gettarle all’aria? Possiamo ipotizzare siano stati gli inseguitori, gli ultimi ad aver avuto un contatto con il personaggio. Le pagine e la disperazione della donna (insieme al commento sonoro, che non prendiamo in esame) anticipano nella narrazione ciò che nella storia è già avvenuto: il linciaggio.
Terza scena: Newton calpesta dei gusci di noccioline ammucchiate. Qualcuno le deve aver mangiate. Un pasto che indica una certa dose di sadismo da chi lo ha consumato, se fatto nel medesimo momento del supplizio. Uno spettacolo durato non poco. Infine, i pantaloni calati e il rivolo di sangue lungo la gamba, una ulteriore violenza perpetrata nei confronti dell’uomo.
Le congetture che abbiamo proposto sono ricostruzioni a partire dagli indizi visivi e acustici del film e potrebbero non corrispondere alla realtà finzionale. Ciò che è sicuro, ai nostri e agli occhi di Newton, è che Moses è morto, impiccato per mano di altri. Basti sapere che i carnefici sono stati degli schiavisti sanguinari per immaginare la crudeltà e spietatezza con le quali essi hanno infierito sul corpo della vittima. Una crudeltà che genera sgomento nell’amico, Newton, ma anche nello spettatore, che si ritrova nelle medesime circostanze sensoriali del protagonista del film (abbiamo visto come l’occhio che riprende assecondi il suo punto di vista).
L’ultimo dei Mohicani (1920)
Durante la guerra tra Francesi e Inglesi, Cora Munro e la sorella Alice tentano di raggiungere Fort Henry, comandato dal padre, ignorando che il distaccamento è assediato dagli indiani alleati dei Francesi. Le donne sono guidate dal malvagio Magua, da Uncas, Chingachgook e Hawkeye. Dopo l'assalto al forte, Magua prende prigioniere le due donne e le porta nel campo dei Delaware. Ma Uncas, giunto al campo, rivela di essere l'ultimo dei Mohicani. Ebbri ed eccitati, gli Uroni (gli indiani alleati dei francesi), assaltano una colonna di donne e bambini che stava uscendo dal forte. Picchiano, uccidono, stracciano vesti, infieriscono sui cadaveri. Una furia omicida spaventosa, continua. Deboli tentativi di autodifesa sono le disperate reazioni nello scenario caotico e apocalittico. Il rispetto per la vita umana viene letteralmente gettato via, come simbolicamente accade con un neonato in fasce, strappato all’abbraccio materno.
A suscitare grande stupore è stato soprattutto pensare che le stesse immagini (ancora più nitide, grandi, potenti) sono state viste da uomini e donne del 1920. Benché, come già detto, la storia fosse conosciuta e i fatti narrati si riferissero ad accadimenti di due secoli prima, non ci si può immaginare l’orrore che provò il pubblico di allora. Il cinema non aveva ancora generato quella mole di immagini terribili e violente che oggi, invece, siamo abituati a vedere.
Too Old To Die Young - Vol.5 (2019)
Da qualche parte in New Mexico. Dei produttori pornografici adescano le loro giovani vittime sessuali drogandole e costringendole a firmare ambigui documenti, per poi seviziarle e venderle a ricchi clienti depravati. Martin, un poliziotto che ama –in modo poco ortodosso- scovare i peggiori criminali e ucciderli, li incontra casualmente in un locale notturno. La depravazione, in special modo quella sessuale, è emblematica nel mondo di Too Old To Die Young, serie televisiva prodotta e diretta da Nicolas Refn. Essa non viene soltanto mostrata in molteplici forme: viene anche cercata, inseguita, osservata con insistenza e, quando non presente nell’immanenza scenica, percepita, come se fosse sospesa nell’aria pronta a precipitare sui personaggi. Il male è il fulcro centripeto che attira tutto a sé provocando un vortice di peccati, rabbia, morte. Non sembra esserci via di fuga, per nessuno dei personaggi, come se si trovassero in un abisso di violenza.
Nel quinto Volume fanno la comparsa dei personaggi che cominciano e terminano la loro esistenza (letteralmente) nello stesso episodio. Un episodio stand alone, i cui fatti non avranno effetto sulla storia a venire, tranne per il ferimento di Martin alla fine.
Ci focalizziamo su due figure chiave, entrambe autrici di diversi tipi di violenza. Non vuole essere un confronto sincretico su due personaggi, quanto un resoconto sulla fascinazione e impressione che questi possono provocare.
1. Prendiamo ad esame la primissima scena. Ci troviamo in uno studio prefabbricato. Un ragazzo dai capelli lunghi e biondi siede su un divano. Da contraltare abbiamo alcuni uomini in piedi vestiti da cowboy-spogliarellisti. Un uomo vestito di nero interroga il ragazzo sulla sua vita omosessuale. L'atmosfera è permeata da una surreale immobilità data dai corpi degli uomini mascherati. Il dialogo è lento, stantio; le parole volgari ed esplicite fuoriescono intimidatorie. Si può leggere nel volto del giovane tutta l’inquietudine e la preoccupazione di qualcuno che si è pentito della scelta di essere lì per recitare in un film porno. I cowboy sono impassibili. Sembrano quasi delle statue inanimate, gli occhi coperti da occhiali neri. essi attendono solo le parole del loro padrone, il quale, finite le domande, lascia il ragazzo in loro balìa. Prima di uscire, recita le parole che animano i suoi complici: “okay boys... rape him”. Parole dirette e inequivocabili che annunciano la sorte del povero ragazzo, lontano dallo sguardo del produttore e della macchina da presa, la quale risparmia al pubblico ciò che, in realtà, era stato anticipato nei minuti precedenti.
2. Martin si allontana da casa e dalla sua ragazza per dare la caccia a degli sconosciuti criminali con il solo scopo di giustiziarli, andando verso una regione ancora più oscura dell’abisso, generando una vera e propria mise en abîme di violenza. Martin non conosce perdono, non crede nella redenzione: è disposto a tutto pur di soddisfare la sua sete di vendetta. Una vendetta non personale, ma quasi divina, che trova le ragioni in un misterioso cosmo mistico predicato da una donna sensitiva (già incontrata in precedenza). La risolutezza nello sguardo, che lo accompagna per tutta la serie dovrà lasciare il posto alla recitazione che mette in atto per guadagnare la fiducia dei produttori porno-cinematografici (ulteriore mise en abîme). Martin recita, ha un altro volto, quello di un ingenuo pervertito; indossa, per così dire, una maschera fino a che non viene condotto nel luogo di registrazione. È curioso come in questa parte del film, il protagonista sembra essere più umano ed empatico del solito. Una volta giunti nel covo, dopo essere stato spogliato dalla valletta del produttore, a sua volta Martin si spoglia della maschera e torna ad essere il cinico giustiziere di sempre. Qui avviene la prima parte della sua missione: i potenti colpi della pistola di Martin trapassano il cranio delle due vittime. Il tempo si dilata: la macchina da presa si sofferma con un ralenti sulle facce sfigurate. Senza profondità di campo, i primissimi piani mostrano tutta la spettacolarità dello zampillo di sangue e delle facce sfigurate.
Archetipi. La super-violenza vista dalla quarantena
La violenza è sempre stata oggetto di studio e genera interesse ancora oggi, nonostante la ritroviamo ovunque, dai libri di storia ai film di finzione, dal teatro classico antico ai moderni videogiochi. Siamo abituati a vederla, reale o rappresentata, in molteplici forme e pare che non ci sia limite alla quantità di immagini violente che possiamo guardare nell’arco della nostra vita e non è chiaro se queste siano così impressionanti da saturare la nostra immaginazione. Per questo motivo, è interessante cercare al di là del concetto di violenza per immergersi nella più spinta e fascinosa super-violenza.
Non possiamo non prendere in esame il testo che ha introdotto il termine e la pratica che si pone il compito di curarla, rispettivamente: Arancia Meccanica di Anthony Burgess (1961) e la Cura Ludovico, invenzione dello stesso autore. Passo obbligato un accenno anche all'omonimo film di Kubrik del 1971 a cui faremo riferimento alle sole immagini filmiche, in quanto divenute parte dell’immaginario comune.
Alex è un adolescente che ama girovagare di notte in cerca di povere vittime da picchiare e seviziare, ma un giorno viene arrestato e rinchiuso. Gli viene promessa la libertà a condizione che si sottoponga a una pratica che gli inibirà ogni impulso di violenza fisica. Il ragazzo accetta di buon grado, stando al gioco dei medici spera di andarsene alla svelta. Così Alex viene sottoposto alla cosiddetta “Cura Ludovico”: costretto alla più assoluta immobilità, perfino della testa e degli occhi, il paziente non può che rivolgere lo sguardo su uno schermo, continuando a vedere le immagini proiettate. Nel frattempo, un infermiere inietta nel corpo del paziente una sostanza che provoca un senso di nausea. L'obiettivo della cura è semplice: indurre uno stimolo fisico di sgradevolezza, in modo che il paziente lo associ alle scene super violente proiettate e ne tragga un’esperienza metafisica ancora più sgradevole. Lo stimolo si dovrebbe ripresentare ad ogni occasione in cui il paziente si trovi a vedere una scena di violenza, anche reale, senza l’iniezione ipodermica, affinché non possa trarne piacere.
Gli scienziati che applicano la “cura” vedono Alex come un corpo meccanico da riparare, piuttosto che un essere umano. Tale pratica, infatti, oltre che rivelarsi una tortura fisica, si rivelerà essere una coercizione mentale tutt’altro che curativa.
Mettendo a confronto il racconto di Burgess con l’esperienza domestica di fruizione dei film, come quella che chi scrive ha provato durante il periodo di quarantena, appare chiaro che non potremo parlare dello stesso livello di costrizione, seppur presente. A livello fisico, infatti, una persona che si sottopone alla cura Ludovico, in un ambiente familiare, rimane libera di vedere o di non vedere un determinato film (nei limiti della reperibilità dell’oggetto), mentre Alex non può rifiutarsi, non può non guardare («non potevo chiudere gli occhi») fino a ritrovarsi nella condizione di dover guardare («dovevo continuare a locchiare») (Marrone, 2005).
Parimenti a Ludovico, l’elemento sul quale una persona in casa propria non ha potere è il flusso di immagini di un film. Esso può essere interrotto, evitato, ma non modificato. Se si ha intenzione di guardare delle immagini di violenza, esse verranno fruite nell’ordine e nella quantità che l’autore ha previsto, similmente di come accade nella sala proiezioni di “Arancia Meccanica”.
Ciò che vediamo deve essere significante per noi, dobbiamo unirlo all’ideazione, arricchirlo con la fantasia, esso deve riscoprire le tracce delle nostre prime esperienze, stimolare sensazioni ed emozioni, giocare sulla nostra suggestione, dar vita a idee e pensieri, e infine attraversare la nostra attenzione sugli importanti ed essenziali elementi dell’azione (Mustemberg, 1970).
Siamo tutti liberi di pensare ciò che vogliamo sulle immagini e di capire quando esse rappresentino azioni malvagie. Ma riusciamo davvero a quantificarne il livello di violenza? Durante la seduta, nel romanzo, vengono proiettati diversi film in cui le vittime subiscono supplizi sempre peggiori e i carnefici sembrano ogni volta più divertiti. Si ponga attenzione proprio su chi attua la violenza, poiché è forse chi la esercita a conferirle il prefisso super-. A questo punto viene spontaneo dissociarsi dalla figura di Alex, autore di violenza simile a quella guardata. Durante la seduta casalinga, chi guarda non ha mai partecipato a violenze reali simili a quelle nelle scene rappresentate. Viene a generarsi un duplice conflitto, in relazione ad Alex e in relazione alla violenza guardata. A prima vista, noi non dobbiamo essere “curati”, non dobbiamo espiare nessuna colpa di entità paragonabile a uno stupro o a un omicidio. Tuttavia, la visione di certe scene sembra sortire un qualche effetto nella coscienza dello spettatore, a causa sia della relazione di significazione accennata prima, sia al principio catartico. Sulle ripercussioni psicologiche e/o morali di una pratica Ludovico sui generis si rimanda alla conclusione.
Archetipi. La super-violenza vista dalla quarantena
Lo stato di confinamento in un'abitazione, in una stanza, seduto su una sedia per ore di fronte a una scrivania e a una serie di schermi, può essere associato con una certa libertà a quello di Alex, costretto a subire la “Cura Ludovico”. Come il protagonista di Arancia Meccanica subisce, senza via di fuga, l’aggressione di immagini violente proiettate su uno schermo, così io vengo impressionato da forti immagini selezionate dall’archivio di film possibili online.
Sono molte le domande che sono sorte in seguito all’isolamento e alla pratica, personalizzata, della “Cura Ludovico”, relative alle modalità di messa in scena della violenza, alle motivazioni per cui alcuni carnefici scelgono di perpetrarla e agli effetti, ed eventuali ripercussioni, sulla mia persona e sullo spettatore in generale.
Dopo essere stati impressionati, dopo aver compreso le immagini, bisogna chiedersi se il processo messo in atto è stato catartico e curativo oppure ha innescato una disarmonia.
Si è individuato un crescendo della violenza nei film analizzati e si vuole riproporre tale impressione tramite un montaggio video delle scene interessate. Facciamo parlare le immagini.
Dopo aver esaminato le scene singolarmente (cfr. reperto/repertorio), è opportuno far dialogare le parti in questione, proponendo un confronto schematico in tabella. I testi vengono smembrati e ricomposti con una formula archetipica che pone l’attenzione sull’intensificarsi delle scene di violenza e sul moltiplicarsi dei loro autori.
L’idea della cura Ludovico affonda le sue radici nella catarsi aristotelica. Come nella Grecia classica, assistere a scene tragiche significa partecipare emotivamente alle sventure dell’eroe, per il quale si prova un senso di pietà(éleos) che va di pari passo con la paura (phòbos) che il dramma rappresentato possa capitare anche allo spettatore. Dal superamento del culmine del dramma (katastrophè) deriva la risoluzione catartica. Allora era un modo per educare i cittadini e permettere loro di espiare le pulsioni negative e raggiungere un’armonia collettiva (Aristotele).
La visione di certi film violenti avrebbe dovuto esorcizzare i pensieri negativi che erano sorti in seguito al malessere di stare confinati nella propria abitazione. Ma forse le impressioni super-violente hanno solo peggiorato la situazione. Abbiamo analizzato delle finzioni che mettono in scena, in modi differenti, lo stesso tipo di violenza. Una violenza distruttrice, malvagia, sadica. Non indotta dall’esterno, ma generata dall’animo dei carnefici e deliberatamente messa in atto. Sono queste le condizioni secondo cui si può parlare di super-violenza. Nella mente di chi prima si diceva distante da certe realtà, torna a delinearsi un’idea di vicinanza ad Alex. Si accetta il fatto che l’uomo è capace di agire con la stessa crudeltà, tanto nei film visti da Alex, quanto in quelli visti a casa, quanto nella realtà. Ne sono testimoni le storie dell’uomo e del cinema. L’orrore provocato da certe visioni si somma alla paura, non tanto di subire, ma di poter, in qualche modo, essere in grado di provare le stesse pulsioni dei carnefici. Dobbiamo ammettere di essere soggetti sensibili alla vertigine e allo sgomento. In antitesi all’idea meccanica della Cura Ludovico, i nostri sono corpi impressionabili, “corpi docili” (Foucault, 1975). Abbiamo facoltà di giudizio e, nel momento in cui riconosciamo una colpa, anche in un personaggio di finzione, crediamo giusta un’azione (punizione) che ristabilisca l’armonia perturbata dalla super-violenza. Ma non sempre ciò è possibile. Se Johnny stabilisce un nuovo equilibrio in quella che, di fatto, è una favola, Martin scatena un vortice di super-violenza.
Dopo essere stati impressionati, dopo aver compreso le immagini, bisogna chiedersi se il processo messo in atto è stato catartico e curativo oppure ha innescato una disarmonia. La visione di tanti film violenti in un breve periodo potrebbe indicare un fallimento nella Cura, che non ci aiuta a superare la catastrofe, ma aggredisce le nostre menti che si ritrovano in costante ricerca di una catarsi purificatrice. Forse è per questo che la super-violenza va aumentando. Forse è per questo che gli indiani continuano a sterminare e a violentare, anche dopo cento anni.
Bibliografia
ARISTOTELE (2004), Poetica, intro e trad. it. D. Lanza, Bur, Milano.
BURGESS, A. (1996), Arancia Meccanica [1961], trad. it. F. Bossi, Einaudi, Torino.
FOUCAULT, M. (2014), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, [1975],trad. it. A. Tarchetti, Einaudi, Torino.
MARRONE, G. (2005), La Cura Ludovico. Sofferenze e beatitudini di un corpo sociale, Einaudi, Torino.
MUSTEMBERG, H. (1970), The Photoplay: A Psychological Syudy, New York, Dover Publications, trad. it. (1980), Film. Il cinema muto nel 1916, Pratiche Editrice, Parma.
Sitografia
RIZZATI, C. (2017), La cura Ludovico e lo stravolgimento della catarsi aristotelica, in “Due ragazzi fuori moda”
(https://dueragazzefuorimoda.wordpress.com/2017/02/09/la-cura-ludovico-e-lo-strvolgimento-della-catarsi-aristotelica/; consultato il 21 giugno 2020).
TUPPINI, T. (2017), La Critica del Giudizio di Deleuze e Guattari, in “Fata Morgana”
(https://www.fatamorganaweb.unical.it/index.php/2017/10/06/millepiani-gilles-deleuze/; consultato il 21 giugno 2020).
Filmografia
BOZZETTO B. (1965), West and Soda, Italia.
REFN W. (2019), Too Old To Die Young, USA.
ROSS G. (2016), Free State of Jones, USA.
TOURNEUR M., BROWN C. (1920), L’ultimo dei Mohicani (The Last of the Mohicans), USA.