I luoghi della memoria
Mezzi e rappresentazioni di uno spazio famigliare
Supercolor 635 CL
NOME FONDO | Collezione privata Bravin |
PROPRIETARIO | Bravin L. |
IDENTIFICATIVO | 00000001 |
LOCALIZZAZIONE | Italia |
TIPOLOGIA DEL SITO | Abitazione privata |
SPECIFICHE | Mansarda |
COORDINATE | - |
DATA DI REPERIMENTO | 7/05/2020 |
AUTORE DELLO SCAVO | Bravin I. |
DEFINIZIONE | Macchina fotografica |
TIPOLOGIA | Istantanea |
CATEGORIA | Ottica |
ANNO | 1988-89 |
MARCA | Polaroid |
MODELLO | Supercolor 635 CL |
N. SERIE | B1E-8814-VH |
MISURE E PESO | - |
I luoghi della memoria. Mezzi e rappresentazioni di uno spazio familiare
di Irene Bravin
A causa della pandemia del COVID-19 sono cambiate molte cose nelle nostre vite. Sono cambiati i rapporti sociali, sono cambiati i nostri modi di seguire le lezioni e i nostri modi di lavorare. Whatsapp è diventato il nostro luogo d’incontro per gli aperitivi, Zoom e Teams le nostre aule virtuali per le lezioni. Ma oltre alla dimensione online, si continua a vivere nella dimensione reale, quella in cui è obbligatorio indossare mascherina e guanti e mantenere un metro di distanza.
Dimensioni che mi appartengono. Infatti, oltre a essere una studentessa universitaria, sono una barista, nata e cresciuta dietro il banco del bar dei miei familiari. È un ritrovo di paese con tabacchino, edicola e ristorante. Non ho ricordo che l’orario di apertura sia stato inferiore alle 18 ore giornaliere, sempre aperti 7 giorni su 7: vi abbiamo sempre lavorato a turno per garantire un servizio continuativo.
Qualcosa è iniziato però a cambiare la sera dell’11 marzo 2020 quando il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, dichiara l’Italia interamente una zona rossa. Quel primo decreto stanziato dal governo prevedeva la chiusura di bar e ristoranti. In quel momento, come per altri esercenti, si è segnato uno spaccato nella storia del nostro locale. L’attività non è mai rimasta chiusa del tutto: potevamo ancora tenere aperto il reparto di tabaccheria ed edicola. Certo gli orari ridotti hanno segnato la routine. Per la prima volta ho visto spenta la macchina del caffè, chiusa la spina della birra, protetta da un telo la bottigliera.
Essendo un momento ineguale alla vita normale del locale, ho sentito l’esigenza di immortalare questi cambiamenti che oltre a quelli accennati, di riorganizzazione degli spazi all’interno del bar, si sono protratti all’esterno del locale: abbiamo cercato, nei limiti consentiti dai decreti, di essere vicini e presenti nella vita dei clienti abituali più anziani, consegnando il giornale porta a porta.
Il progetto Cronache del Dopobomba mi ha dato modo di ragionare su quelle immagini scattate e in particolar modo, ripensare al dispositivo che ho usato per scattare quelle foto. Trascorrendo più tempo a casa, ho rispolverato due Polaroid che avevamo in casa, una Supercolor 635 CL di fine anni Ottanta e una OpenStep 636 Close-up di metà anni Novanta. Queste due Polaroid sono di mio padre e da piccola le vedevo sempre; non ho mai avuto occasione di usarle: prima perché ero troppo piccola e poi perché è arrivata la “mia” Canon Prima super 115.
Sono sempre stata appassionata di fotografia e da ogni viaggio tornavo con rullini pieni da sviluppare. Mi piaceva andare dalla fotografa del paese a farli sviluppare e riguardare tutte le foto scattate. Questa passione l’ho un po' persa con l’arrivo della fotografia digitale. Ho perso il piacere di sviluppare i rullini e di sfogliare le foto appena ritirate. Vorrei cogliere quest’occasione per sistemare almeno una delle due Polaroid e di poterle utilizzare per immortalare, con un pezzo di storia della mia famiglia, un luogo della nostra memoria.