Quadrophenia
dal vinile al VHS in “Quarantenia”
Quadrophenia - Vinile
Titolo | Quadrophenia |
Identificativo | 00000001 |
Credits | The Who |
Nazionalità | UK |
Formato | LP |
v/scorr | 33 1/3 |
Durata | 81'36" |
Versione | Originale |
Anno | 1973 |
Genere | Opera Rock - Progressive |
Origine | - |
Quadrophenia. Dal vinile al VHS in “Quarantenia”
di Diego Colomban
All’annuncio del progetto di lavoro “Cronache del dopobomba”, ho inquadrato immediatamente con il pensiero l’immagine visiva della copertina dell’album Quadrophenia, ed ho associato da subito la risonanza e l’assonanza che quel termine scatenava nelle mie orecchie e risveglia ancora oggi nel mio immaginario quel qualcosa di estremamente idoneo da giustapporre a ciò che si andava a delineare.
Sapevo che stava lì, acquistato in un mercatino dell’usato e inascoltato da un po’ di tempo. Ma a sua volta non potevo scordare che qualche ripiano sopra la “sezione” vinili della libreria c’era anche il film in VHS tratto dall’omonimo disco, se non erro comperato ancor prima dell’album stesso. Quel titolo, Quadrophenia, era proprio quello che più si addiceva al momento di reclusione obbligata nel periodo pandemico. Ho ripreso in mano i due supporti per poter guardare più a fondo il significato che avevano allora e quello che possono riportare a galla oggi. Uno scavo nel contenuto ma anche nella forma degli oggetti, il loro rapportarsi con l’attualità, la loro storia.
E potersi guardare dentro allo specchietto della mia Vespa, conservato e ritrovato, come i componenti degli Who per vedere cosa c’era dietro ma anche quello che ci aspetta dopo questa “QUARANTENIA”.
Quadrophenia è il sesto album del gruppo rock inglese Who, pubblicato come doppio LP il 26 ottobre 1973 dalla Track Records. Quadrophenia è un romanzo in musica, un esperimento musicale, un'esperienza senza precedenti e senza paragoni.
Le diciotto tracce che compongono l’opera trovano ambientazione nei territori tra Londra e Brighton nel 1965. Protagonista è un tormentato Jimmy Cooper, giovane mod spaccato tra la delusione nei confronti del movimento modernism, imperante nell’Inghilterra degli anni Cinquanta e Sessanta, e dell’esigenza di trovare un equilibrio con sé stesso. Difatti il protagonista è soggetto a disturbi dissociativi dell’identità: si riflettono, tra le note delle tracce, quattro distinte personalità. Da qui il titolo dell’album: il termine Quadrophenia è una variazione lessicale della parola 'schizofrenia' per significare sia i diversi stati d'animo del protagonista e le sue differenti personalità.
Il cuore e l'anima di Pete Townshend, leader e chitarrista degli Who, diventano l'urlo di Jimmy «the beggar, the hypocrite» in Love, Reign O'er Me; l'unica preghiera, l’unica speranza: amore, regna su di me (ultima traccia del disco). Nonostante sia quest’ultimo a comporre la musica e scrivere i testi, nel titolo si ritrovano le quattro anime dei componenti degli Who, rappresentate nell'album da quattro temi musicali diversi. «C'è il ribelle impotente, raccontato in Helpless Dancer, che ha i contorni di Roger Daltrey; l'impuro folle Bell Boy, che ha la voce di Moon the Loon; il romantico inconsolabile che emerge nei deliri di Doctor Jimmy & Mr Jim, chiedendosi se Is it me, for a moment? e ha negli occhi il riflesso di John 'Thunderfinger' Entwistle» (DE STEFANO, 2017).
Non solo: la poetica di Townshead trasforma in musica il sentimento di un’intera generazione: dove sia ambientata la narrazione difatti poco importa. La purificazione e la presa di coscienza attraverso le sofferenze, nel ripido cammino verso la luce e la saggezza non necessita di etichette, è un percorso da intraprendere a cui un’intera generazione era chiamata e Jimmy Cooper ne è il testimone in cui potersi impersonare. L’importanza storica del disco sta nella sua incredibile forza emotiva e nelle sfumature che rendono il personaggio di Jimmy un rappresentate del sentimento condiviso: la sconsolata incuria di The Real Me, la rabbia senza sfoghi di I've Had Enough e The Punk And The Godfather e l'insostenibile malinconia di Sea And Sand e I'm One.
«The story is set on a rock », afferma il musicista, che negli anni in cui si dedica all‘album, tra alcolismo, deliri di onnipotenza e complessi di inferiorità, tra i tour infiniti e la famiglia in crisi, si trova a ripensare alla sua adolescenza e a tutto quello che lascia dietro a sé, diventato ormai adulto.Riconosciamo tutto ciò nell'urlo dilaniante di Daltrey, che chiude il disco; e nell’eco di quest‘urlo rimane sospeso il destino di Jimmy: si lancerà nel vuoto o affronterà la vita nonostante i continui fallimenti? A ciascuno di noi il compito di immedesimarsi e scrivere il proprio finale.
Si diceva di come sia un lavoro rappresentativo dell’anima del gruppo, con cui i quattro si interfacciano più volte nel corso degli anni. Sei anni dopo gli Who saranno protagonisti in qualità di produttori di un film omonimo, Quadrophenia (1979) diretto da Franc Roddam; motivo per cui si sceglie di completare con la visione del film lo scavo iniziato con l’ascolto del disco. Il film è ambientato nella Londra degli anni Sessanta. Jimmy (Phil Daniels), il protagonista, è un affiliato ai mod, sempre attento al suo aspetto, veste con un parka e guida una lambretta. La rabbia che contraddistingue la sua generazione sfocia in uso di alcol e anfetamine. Seppure quando uscì in sala nel 1979, il film non fu accettato molto bene dalla critica, la regia di Roddam è ancora oggi un’opera che colpisce per lo schietto realismo di un’epoca. La iconica rappresentazione rimarca la gabbia trasparente che echeggia dal disco; una gabbia invisibile che contraddistingue il vivere comune di una generazione, di un’epoca, di un sentire sociale.
Cercare di capire quel tanto che dobbiamo ancora sapere e sapere quel poco che ancora possiamo provare. Scoprire in un attimo l'esistenza di un qualcosa che era lì da un pezzo e trovare in quel qualcosa un senso che affiora in un istante. Un sogno perduto nei meandri della realtà, una realtà che bussa alla tua porta e ti fa rivivere un sogno. Un rivedere le cose come le si vedeva allora, con la consapevolezza di vivere un altro tempo e riscoprire ciò a cui davi un significato ed ora ritorna nelle tue mani, davanti ai tuoi occhi con la forza di poterti ridare e riassaporare quel sogno in un'ottica diversa, in una prospettiva che mai avresti immaginato.
Quadrophenia, prima il disco, poi il film. L'adolescenza. La libertà. La Vespa. L'onnipotenza.
Quadrophenia... la schizofrenia al quadrato...
Ma allora non era così. Ora si. Ci siamo.
E cambia tutto, riavvolgi il nastro e ridai al contenuto un significato diverso; quell'oggetto si rivela una fonte preziosa dalla quale attingere un qualcosa di profondo che ti da uno spiraglio di luce. Tirare fuori quella Vespa dall'acqua, rimetterla in moto e farla ripartire… uscire dal pantano
e ritrovare dentro di te, te stesso.
Quadrophenia. Dal vinile al VHS in “Quarantenia”
Quadropheniaè il sesto album del gruppo rock inglese The Who, pubblicato come doppio LP il 26 ottobre 1973 dalla Track Records. Quadrophenia è un romanzo in musica, un esperimento musicale, un manifesto generazionale.
Diciotto sono le tracce che compongono il disco. Diciotto episodi che trovano ambientazione tra Londra e Brighton nel 1965. Protagonista è un tormentato Jimmy Cooper, giovane mod spaccato tra la delusione nei confronti del movimento modernism, imperante nell’Inghilterra degli anni Cinquanta e Sessanta. Il cuore e l'anima di Pete Townshend, leader e chitarrista degli Who, ma soprattutto autore di quasi tutti i testi, segnano le avventure travagliate di Jimmy "the beggar, the hypocrite" in "Love, Reign O'er Me". Al suo vagare disperato un unico canto si fapreghiera e speranza: "amore, regna su di me", non a caso ultima traccia del disco.
Esigenza del protagonista è quella di trovare un equilibrio con sé stesso. Difatti il protagonista è soggetto a disturbi dissociativi dell’identità: si riflettono, tra le note delle tracce, quattro distinte personalità. Da qui il titolo dell’album: il termine Quadrophenia è una variazione lessicale della parola schizofrenia per significare sia i diversi stati d'animo del protagonista che le sue differenti personalità.
Nonostante sia Townshend a comporre la musica e scrivere i testi, nel titolo si ritrovano le quattro anime dei componenti degli Who, a cui si rifanno quattro temi presenti nel disco. Le altre sono Roger Daltrey voce del gruppo a cui si pensò per scrivere il brano Helpless Dancer, John Entwistle al basso elettrico in cui si riconosce Is It Me? e Keith Moon alla batteria a cui si riflette Bell Boy. La dimensione del gruppo si riscontra sin dalla grafica della copertina del vinile: notando l’immagine, la moto su cui è seduto Jimmy, rigorosamente di spalle, vede quattro specchietti retrovisori in cui sono specchiati i volti dei componenti del gruppo (fig. 1).
Il gruppo divenne conosciuto a livello nazionale a partire dal 1965 grazie a titoli di successo che consacreranno la poetica di Townshend. La sua ricerca musicale portò all’inizio degli anni Settanta a opere di carattere teatrale: Tommy è la prima nel 1969. Quadrophenia sarà la seconda.
Il disco oggetto della presente analisi fu pubblicato come doppio LP il 26 ottobre 1973 dall’etichetta Track Records, sia nel Regno Unito sia negli Statu Uniti, ottenendo subito ampio successo e diffusione. Fu registrato tra maggio 1972 e giugno dell’anno successivo presso gli Olympic Studios e Ramport Studios di Londra.
Quadrophenia. Dal vinile al VHS in “Quarantenia”
MODS: la generazione che sperò di morire prima di invecchiare.
Le origini
Le origini del fenomeno mod risalgono alla fine degli anni Quaranta quando Miles Davis dà al jazz una nuova direzione. Queste sonorità provenienti da oltreoceano affascinano i teenager inglesi che cominciano un vero e proprio processo di studio ed imitazione dello stile Ivy League. Il termine mod è infatti abbreviativo di modernist, coniato inizialmente per definire i fan del modern jazz (Porracchio).
Il movimento mod si sviluppa sul finire degli anni Cinquanta e negli anni Sessanta. In Inghilterra, intorno al 1962, i teenager della classe lavoratrice si ribellano all’ipocrisia dei benpensanti e ai loro valori retrogradi e mirano a un’innovazione ‘moderna’ o ‘modernista". Abbigliamento, musica e rituali divennero allora gli strumenti che consentivano ai figli della working class una reazione immaginaria ai vincoli imposti, una ribellione all'equazione reddito-consumo-attività ricreative per tendere ad un’auto-liberazione. I mods avevano sviluppato uno stile nel vestire sobrio, molto elegante fino all’ultimo dettaglio, ispirato all’Ivy League look: camicie bottom-down, giacche tre bottoni con reveres stretti, pantaloni senza pences, cravattini sottili, mocassini o brogues (Cfr. Catanese, 2019).
La cura del proprio aspetto era maniacale e richiedeva un’attenzione ai minimi dettagli. Questo stile era adattato ed influenzato dalle nuove mode del continente Europeo, soprattutto dall’Italia e dalla Francia: elemento che ne determinerà il successo e la diffusione in questi paesi. I mezzi di locomozione preferiti dai mod erano Vespe e Lambrette italiane. La Vespa era già stata 'consacrata' dal film Vacanze romane (William Wyler, 1953). Gli scooter cromati e provvisti di una grande varietà di specchietti e accessori, diventano icone del progresso, sinonimi di un’eleganza nuova, moderna, al contempo insolente in quanto simbolo dell’appropriazione giovanile delle strade. A dispetto dell’esterofilia, i mod inglesi restarono tuttavia molto attaccati ai propri simboli nazionali come l’Union Jacke lo stemma Air Force(tre cerchi concentrici di colore blu, bianco e rosso) che applicavano sui loro parka. Si ritrovavano nel nightclub di Soho, il Flamingo Jazz Club. L’aggregazione sociale avviene prevalentemente sulla pista da ballo, ai cosiddetti all-nighters, feste della durata di una notte intera, tenuti in locali o case private, in cui si danza sui ritmi del modern jazz, del northern soul, del rhythm and blues, del boogaloo (variante newyorchese-portoricana del rhythm’n’blues), del rocksteady e dello ska giamaicano (Cfr. Catanese, 2019).
Nel 1965 esce ilsingolo My generation: «People try to put us down, Just because we get around, Things they do look, awful col, I hope I die before I get old, My generation, This is my generation, baby». Gli Who verranno consacrati quale band rock di culto mod.
I nemici dei mods sono i rockers, centauri motociclisti dalle giacche di pelle nera, eredi dei Teddy-boys, fan del rock and roll di Elvis Presley. Gene Vincent, Chuck Berry, Bo Diddley. Basettoni incolti, capelli impomatati da brillantine, cotonature folli ed esagerate. Spericolati, selvaggi, motociclisti “violenti” che intraprendono vere e proprie sfide in città con moto esclusivamente American Style. I Levi’s e il berretto di cuoio nero diventano l'icona dei rockers (Cfr. Catanese, 2019).
Sono celebri gli episodi degli scontri e delle risse, tra cui quello del 26 marzo 1964 a Clacton, località di mare vicina a Londra. A Brighton, i mod aggredirono i rocker durante un concerto: le risse durarono due giorni consecutivi e si spostarono fino ad Hastings. La stampa inglese descrisse questi episodi come un fenomeno epocale, alimentando il cosiddetto panico morale, (Cohen, 1972), a significare un panico di massa ingiustificato rispetto a una minaccia di piccola entità o inesistente. Cohen dimostrò che, in realtà, non c’erano mai state bande organizzate e che, prima degli articoli di stampa, nemmeno esisteva una netta rivalità tra le due sottoculture biker, che si consolidò invece dopo la pubblicità ottenuta. «Le Agenzie del Controllo erano disinteressate a produrre analisi oggettive, alimentavano il panico morale, costruivano etichette... attivavano processi di stereotipizzazione, proprio com’è stato fatto con i Mod e i Rocker» (Benvenga, 2020).
Modrevival o Mod 79
I vestiti cambiano, le droghe anche, e così la musica. È l'attitudine che rimane immutata (Paul Weller)
Dopo una battuta d'arresto, tra il 1978 e il 1979 esplode una nuova ondata modernista, il mod revival, denominato Mod 79, di breve durata temporale (1979-1982 circa) ma di grande impatto sociale (Hunt, 2020).
Gli inizi degli anni Settanta risentono ancora degli avvenimenti con cui si sono conclusi gli anni Sessanta. Lo stesso "Maggio francese" era stato ben più che un episodio del movimento studentesco.
Accanto a milioni di operai scendono in piazza anche gli impiegati, il ceto medio, i tecnici ed i professionisti. Negli anni 1971 e 1972 l'onda delle lotte studentesche comincia lentamente a rifluire per dar luogo ad una costellazione di gruppi e gruppuscoli in conflitto permanente tra loro. «Il grande mercato attiva l'industria culturale e la diffusione dei mass-media. I divi televisivi e della musica rock incarnano modelli di auto-realizzazione, suggeriscono norme di comportamento, seguono i loro fans passo passo. Ma, nel momento in cui i giovani maturano una coscienza critica e cercano di andare al di là delle apparenze avvertono il vuoto, l'inconsistenza, la provvisorietà, la solitudine» (Mancino).
Nel 1978 Paul Weller, leader della band inglese The Jam, si presenta con un look fortemente mod e si riferisce in modo inequivocabile al suono tipico dei gruppi mod anni Sessanta (The Who, Small Faces, Kinks) che mescola all'energia del punk. L'anno successivo (1979) esce il film Quadrophemia di Franc Roddam. Nascono i nuovi mod, in seguito ribattezzati revivalisti per distinguerli dai predecessori original. Circa un anno dopo il fenomeno si propaga rapidamente in tutta Europa, Stati Uniti e Australia. Ad oggi sono ancora attive alcune band. Esistono dei gruppi musicali contemporanei dichiaratamente mod revival come i russi The Riots, gli e Modesty e gli italiani Tailor Made.
Nel 1999 Martin Lewis fonda il "Mods & Rockers Film Festival" che ha luogo ogni anno negli Stati Uniti. Vengono presentati restrospettive, eventi speciali, concerti, documentari, film degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta e ospita attori, musicisti, produttori e compositori.
Il panorama italiano, anni 1960-70-80
«In Italia il termine mod veniva poco usato, in quanto tutto veniva inglobato nel BEAT. Infatti è con la Beat Generation»- scrive Rossella Catanese – «che si determina un cambiamento nella coscienza collettiva, nelle tematiche, nelle prospettive culturali ed ideologiche di una società ancora scossa dalla seconda guerra mondiale» (Catanese, 2019). Beat sta per ribellione, ma anche per battito, ritmo; un flusso vitale concitato e intenso che determina una rivoluzione culturale, dalla coscienza collettiva alla Moda. In Italia le molteplici influenze del rock anglo-americano si contaminano con una tradizione ancorata nella canzone melodica e tali istanze identitarie coesistono con le pratiche della cover (versione tradotta in italiano dei grandi successi mondiali, statunitensi o britannici) e dell’imitazione.
Emergono una serie di ulteriori agenti e risorse culturali: è il caso dei locali dedicati espressamente alla musica beat (il Piper Club di Roma, inaugurato nel 1965 era il più noto) e dei concorsi musicali, come il Rapallo Davoli. Cominciò a diffondersi la pratica delle zone di aggregazione per i capelloni e beat in alcune tra le principali piazze d’Italia, tra cui, ad esempio, piazza di Spagna a Roma o piazza Castello a Torino. Tra il 1965 e il 1966 il beat italiano diviene il genere musicale più venduto e più ascoltato nei programmi televisivi in Italia. In questo ricco contesto musicale, la sottocultura mod è il primo fenomeno giovanile a darsi regole molto rigide, costruito sul senso di appartenenza ad un gruppo sottoculturale ben definito, sull’idea di ‘bande’ contrapposte non in senso criminale, bensì esclusivamente identitario. «Non si tratta però semplicemente di una ‘traduzione’ all’italiana del rock and roll e della cultura popolare anglosassone e statunitense» - scrive ancora Rossella Catanese - «... ma di un’entità culturale ibrida, che combinava sonorità melodiche della canzone popolare e le ritmiche del jazz... Il cinema partecipa alla costruzione della gioventù come identità collettiva in un immaginario mediale che ne intercetta il potere di agente sociale e politico nell’Italia degli anni Sessanta» (Catanese, 2019).
Nel 1966 esce il film Fumo di Londra (Alberto Sordi, 1966) che cita gli scontri e il film La battaglia dei Mods (Franco Montemurro, 1966), in cui «...l’egiziano di origine libanese Ricky Shayne canta il celebre brano Uno dei Mods. Ma il film e il suo protagonista rappresentavano l'estetica Mod in modo impreciso e confuso: Shayne porta una capigliatura quasi leonina e le giacche di cuoio che indossa e che cita nel brano somigliano molto di più al look dei motociclisti rockers rivali che allo stile ‘modernista’. Nonostante le approssimazioni, il film è interessante per comprendere la risposta italiana alle sottoculture d’oltralpe, le varianti estetico-musicali e i temi di amore, amicizia e scontro che caratterizzano facilmente le narrazioni dedicate a sottoculture e specifici gruppi sociali» (Catanese, 2019).
Con l'uscita del film Quadrophenia nel 1979 in Italia, il fenomeno mod diventa rilevante. Tony Face Baciocchi è stato tra i padri del movimento in Italia. «Partì tutto da una fanzine, - racconta Tonyface Baciocchi- quella "Faces" che, fotocopiata originariamente in trenta copie, fu la prima voce del modernismoitaliano [...] permise ai mods di tutta Italia di conoscere quello che succedeva nella scena nazionale ed internazionale» (Bernardi).
Nel 1984 nasce la Delta Tau Kay, l'organizzazione che raggruppa centinaia di mods italiani. Il suo bollettino viene stampato in un migliaio di copie ogni mese. In Italia esce Il migliore dei mondi possibili scritto da Giammarinaro, in cui si racconta l'epopea del modernismo e la nascita degli Statuto.
BIBLIOGRAFIA
BACIOCCHI, A. (2009), Mod Generation, NdA Press, Rimini.
BENVENGA, L. (2020), Tra mod e rocker, epiche battaglie di stile negli anni Sessanta, in "Il Manifesto" del 22/01/2020.
CATANESE, R. (2019), Vespa, Lambretta e Gegheghé. Beat e Mods all’italiana, in PARIGI, S.; UVA, C.; ZAGARRIO, V. (a cura di) (2019), Cinema e identità italiana. Cultura visuale e immaginario nazionale fra tradizione e contemporaneità, RomaTrePress, Roma, pp. 731-740.
COHEN, S. (1972), Folk Devils and Moral Panics, The Creation of the Mods and Rockers, Routledge, LondoN.
GAZZARA, F. (1997), Mod. La rivolta dello stile, Castelvecchi, Roma.
HEWITT, P. (2002), Mods. L’anima e lo stile, Arcana, Milano.
PIVANO, F. (2017), Beat hippie yippie, Giunti-Bompiani, Firenze-Milano.
SITOGRAFIA
BERNARDI S., Tonyface: storia dei mods italiani; https://www.rochit.it/
HUNT C., THE MOD REVIVAL; http://www.chrishunt.biz/features08.html
MANCINO L., Modelli di cultura e immagini sociali degli anni Settanta e Ottanta;
www.bibliotecaprovincialedi foggia.it
PORRACCHIO A., I mods, la generazione che sperò di morire prima di invecchiare; https://www. Sociologicamente.it .htm