Emergenze
Frame collection e temporalità ritrovate (di Matteo Barbina)
Schlemmer Frame Collection
La collezione di fotogrammi Schlemmer, conservata presso il Filmmuseum di Vienna, è "costituita da 2254 fotogrammi e frammenti" di film, di cui molti ritenuti perduti e per la maggior parte riconducibili a titoli databili tra il 1920 e il 1920.
La collezione è stata catalogata, digitalizzata e messa a disposizione, la maggior parte dei fotogrammmi non sono stati ancora identificati.
La selezione per il progetto attinge a questa categoria. La collezione è disponibile qui.
La collezione Schlemmer. Emergenze: frame collection e temporalità ritrovate
di Matteo Barbina
L’evoluzione della pandemia da virus Covid-19 ha accompagnato i primi mesi dell’anno 2020, portando gradualmente le comunità di gran parte del pianeta a modificare e riconfigurare il proprio agire: le relazioni interpersonali di ogni ordine sono state costrette allo scontro con un panorama sociale temporaneamente mutato. Le attività lavorative, formative, ricreative di milioni di persone si sono potute svolgere soltanto attraverso i canali di telecomunicazione, costituendo l’ambiente di presenza forzatamente virtuale in cui ci si è ritrovati a seguito delle misure adottate per limitare i contagi. Nell’isolamento domestico, e nella conseguente condizione alienante che ha caratterizzato un momento socialmente traumatico quale l’avvento di una pandemia globale, ognuno si è visto spinto alla riscoperta di materiali e pratiche solitamente tralasciate o relegate in secondo piano, esperendo così ritmi e qualità differenti rispetto all’insieme di abitudini che non hanno potuto trovare compimento durante il periodo di difficoltà.
Il termine stesso di “emergenza” si trova quindi a definire duplicemente la situazione presente: da un lato caratterizza la circostanza improvvisa e imprevista; dall’altro esso evidenzia come, dall’interruzione di una serie di sistemi e comportamenti, ne riaffiorino – emergano, appunto – degli altri, secondari o dimenticati. È proprio dalla riflessione sul tema della riscoperta, a seguito di un distacco, che nasce la volontà di esplorare la tipologia di raccolta particolare quale è una collezione di fotogrammi. Il repertorio costituito da frammenti di pellicola cinematografica, la Schlemmer Frame Collection conservata presso il FilmMuseum austriaco, si configura infatti, da un punto di vista materiale, come il frutto di una separazione. Il gesto meccanico del ritaglio, con il quale si realizza l’effettiva mutilazione del film, ha reso possibile la nascita di un nuovo corpo, il cui futuro non sarà più immanente a quello della sua sorgente d’origine.
Da qui dunque, la molteplice e simultanea dimensione di perdita e ritrovamento: a oggi numerosi elementi della selezione rappresentano la testimonianza superstite di opere andate smarrite o distrutte, spesso non ancora identificate e delle quali i pochi frammenti raccolti costituiscono gli unici reperti a disposizione. Inoltre, lo stesso distacco che ha garantito ai fotogrammi un differente trascorso rispetto all’elemento originario, riconfigura la loro esperibilità: dal momento in cui non fanno più parte del flusso di immagini da cui sono stati estrapolati, essi acquistano senso proprio, in quanto frame, cornici. La raccolta frammentaria in tal modo diviene allo stesso tempo un insieme di residui sopravvissuti alla distruzione che manifestano l’esistenza di opere perdute, ma anche un catalogo di volti, espressioni, messe in scena, oltre che di supporti, tecniche di ripresa e colorazione.
A partire da queste prime considerazioni, si è costituita una selezione di fotogrammi. In particolare, esaminando la collezione, ci si è soffermati sui frammenti non identificati e sulla loro risonanza con la contemporaneità: attraverso un’ottica trans-storica, si è esplorato l’emergere delle immagini nel presente, in quanto testimoni di opere smarrite o distrutte, ma anche come tasselli di una collezione costruita in base a criteri soggettivi e affettivi. La curiosità suscitata dall’archivio in osservazione è data proprio dalla sua ambivalente collocazione, che oscilla fra la perdita di elementi, opere, nomi, e la riemersione di figure, tratti, manifestazioni. La collezione Schlemmer costituisce così un compendio di istanti catturati, immagini in cui un tempo perduto può trovare nuove possibilità espressive.
La collezione Schlemmer. Emergenze: frame collection e temporalità ritrovate
Dall’acquisizione all’accesso
Il corpus di fotogrammi in esame si presenta come il risultato di un processo di acquisizione e catalogazione svolto all’interno del FilmMuseum viennese, a cura di Paolo Caneppele e Matteo Lepore. L’accesso e la consultazione della collezione Schlemmer sono infatti resi possibili dal lavoro di organizzazione, archiviazione e valorizzazione dell’intero insieme di frammenti, il quale è reperibile anche a distanza tramite il sito dell’istituto museale1. Sulla genesi e sulle dinamiche di emergenza storica della collezione si dispone di poche informazioni dettagliate – non è nota, ad esempio, l’identità del curatore originario –, ma importanti considerazioni possono essere fatte in base alle conoscenze, seppur ridotte, riguardo all’affioramento di tale insieme di fotogrammi. Al fine di porre alcune riflessioni in merito alla dimensione ontologica dell’archivio di immagini “ritagliate”, appare quindi utile delineare le caratteristiche materiali della raccolta, oltre che i metodi ed i procedimenti che sono stati adottati per renderla correntemente fruibile al pubblico.
La collezione è giunta all’attenzione del museo austriaco soltanto dei primi anni del Duemila, attraverso la disponibilità della proprietaria, Edith Schlemmer, la quale aveva a sua volta ricevuto i frammenti in dono agli inizi degli anni Settanta. Il corpo della selezione è composto da 2254 elementi, dei quali una grandissima parte provenienti da pellicole con supporto in nitrato di cellulosa e risalenti agli anni Dieci. Conservati in 57 piccoli involucri, appositamente costruiti dal collezionista con carta trasparente, i fotogrammi, al momento dell’acquisizione, si presentavano divisi e disorganizzati: solo una piccola parte di essi era categorizzata in base a caratteri tematici. Alcuni dei gruppi in cui era originariamente disposta la collezione portavano una titolazione composta dal nome di un attore, o evocante una particolare figura ripetuta nel contenuto delle immagini, come ad esempio “Kinderaufnahmen” – riprese di bambini –; in altri casi sulle buste non era presente alcuna indicazione (Caneppele, Lepore, 2018, p. 1).
Vista la classificazione “immaginaria”, incompleta ed apparentemente caotica, e considerato l’elevato numero di involucri privi di marcature identificative – corrispondenti ai due terzi del totale –, l’archivio viennese ha ritenuto opportuno, in sede di catalogazione, effettuare una nuova organizzazione della collezione, progettando però un’operazione reversibile: la configurazione dei raggruppamenti originali rimane infatti sempre ricostruibile e conoscibile attraverso la nomenclatura dei singoli elementi conservati. Le operazioni di riordinamento e preparazione della collezione all’archiviazione si sono svolte nel corso di sei mesi tra il 2006 e il 2007, articolandosi in due fasi: in un primo momento si è provveduto alla corretta conservazione del materiale in nuovi contenitori, precisamente delle buste per la conservazione di negativi fotografici, adatte a preservare i supporti in nitrato di cellulosa, digitalizzando allo stesso tempo l’intero corpo della raccolta; secondariamente si è proceduto all’ identificazione dei film di provenienza, laddove possibile, con l’aiuto di indizi paratestuali – fra cui soprattutto gli edge code presenti sulle porzioni laterali della pellicola – e testuali, riferiti cioè al contenuto delle immagini.
La nuova configurazione del materiale si è concretizzata nella creazione di gruppi di elementi attribuibili allo stesso rullo d’origine, attraverso il riconoscimento di oggetti di scena, costumi o attori identici in differenti fotogrammi, ma anche accomunando frammenti con le stesse qualità fisiche in modo da individuare, ad esempio, due immagini originariamente contigue nel rullo di appartenenza, ma conservate separatamente all’interno della collezione. Come ausilio all’identificazione, sono stati utilizzati visti di censura, documentazioni fotografiche e fonti letterarie, al fine di reperire informazioni sulle pellicole in esame e confermare i riconoscimenti effettuati (Caneppele, Lepore, 2018, p. 4). Si individua, dalla mole di lavoro svolto dai curatori per identificare il maggior numero possibile di fotogrammi, il ruolo centrale assunto dal materiale fotografico contenuto in riviste d’epoca: senza il raffronto costituito da tali immagini non sarebbe stato possibile catalogare la collezione con la stessa accuratezza.
La digitalizzazione completa della selezione, assieme all’indicizzazione dei singoli elementi, ha permesso la pubblicazione delle scansioni di tutti i fotogrammi conservati, quindi il loro accesso, in vista di una fruizione aperta e interattiva: ogni utente del sito ha per esempio la possibilità di inserire informazioni utili al riconoscimento del materiale non ancora identificato – finanche un luogo, un edificio, un volto familiare –. L’esposizione digitale prevede inoltre la possibilità di osservare la raccolta organizzandola in base a una ricerca: per anno, nazionalità, casa produttrice del film.
La classificazione tematica si ritrova dunque in differenti momenti nella storia della collezione: la sua stessa composizione è stata svolta assieme a un raggruppamento degli elementi, i cui criteri rimangono però ignoti; successivamente, in fase di catalogazione da parte del FilmMuseum, la sua riorganizzazione è stata possibile grazie all’affiancamento di frammenti in origine adiacenti, o in condizioni chimico-fisiche simili; ed infine i progetti di valorizzazione adottati mirano all’accesso selettivo del vasto compendio di immagini, tramite una possibile consultazione in base a categorie. Infatti, i curatori della collezione intendono fornire ai fotogrammi una nuova funzione in quanto possibili aiuti all’identificazione, costituendo un compendio di immagini sopravvissute (Caneppele, Lepore, 2018, p. 9).
1 FilmMuseum – Schlemmer Frame Collection, https://www.filmmuseum.at/en/collections/special_collections/schlemmer_frame_collection (ultima consultazione: maggio 2020).
La collezione Schlemmer. Emergenze: frame collection e temporalità ritrovate
La figura del collezionista
Gli elementi che compongono la collezione Schlemmer costituiscono una traccia materiale salvatasi dal destino che ha interessato i rulli da cui i fotogrammi sono stati estratti. Paradossalmente quindi, per tutti quei film che sono andati distrutti o smarriti, la sopravvivenza si è resa possibile solo grazie a una loro menomazione, a un intervento decostruttivo che da un lato ha reso “incompleta” la pellicola d’origine, e dall’altro ha evitato la scomparsa dell’immagine estrapolata. Ciò si realizza proprio nella conservazione che l’anonimo collezionista ha messo in atto. Risulta quindi interessante esplorare l’identità del curatore originario, attraverso gli unici elementi disponibili, ossia gli stessi frammenti, ma anche i materiali di corredo alla raccolta e le pratiche costitutive di quest’ultima.
Per come si presenta attraverso le forme di accesso odierne, l’insieme di fotogrammi appare altamente disomogeneo: allo stesso modo, anche prima della catalogazione effettuata dal FilmMuseum, la raccolta non disponeva di una dettagliata organizzazione. La selezione può apparire perciò anomica, priva di ordinamento, se si guarda ad essa esclusivamente come a un insieme di reperti frammentari. Considerando invece centrale la figura del collezionista è possibile cogliere una serie di intenzioni ed impressioni che hanno agito da impostazioni discorsive e culturali alla genesi del corpus in esame. In tal senso, si ha la definizione propria di un archivio, i cui elementi acquistano significato in quanto facenti parte di esso. Un’importante osservazione sorge in questo senso: la dimensione temporale della collezione si estende per diversi decenni, in quanto gli elementi databili più addietro nel tempo risalgono ai primissimi anni del Novecento, mentre quelli più recenti – su supporto in acetato – sono attribuibili agli anni Cinquanta. Considerando l’ampiezza cronologica della raccolta, è possibile guardare ad essa come l’espressione, la testimonianza, della vita del collezionista.
Si rivela fondamentale a questo proposito una lettera, mai spedita o forse una brutta copia, conservata a corredo della collezione: poche righe battute a macchina e rivolte a Walt Disney, da cui emergono importanti informazioni: l’autore della selezione di fotogrammi iniziò da bambino, nel 1913, a raccogliere immagini per diletto con il fine di proiettarle assieme agli amici tramite una sorta di lanterna magica auto-costruita. Il collezionista, ormai adulto – si tratta probabilmente degli anni Cinquanta – ricorda la meraviglia, nella visione domestica, delle immagini ingrandite dalla proiezione attraverso il suo dispositivo personale, che ancora utilizza all’epoca in cui scrive del fine di “distrarsi dalla vita di tutti i giorni” (lett. “zur Ablenkung des Altags”) (Fig. 1). Si svelano così le intenzioni, le motivazioni all’origine della collezione Schlemmer: un amante del film, che fin da piccolo ha coltivato la passione di raccogliere fotogrammi, scartati in sede di proiezione nell’esecuzione di una giunta, oppure appositamente ritagliati, allo scopo di conservare l’esperibilità delle immagini e poterle riguardare con gli amici d’infanzia.
Appaiono interessanti le modalità di fruizione sviluppate dallo stesso curatore della selezione, e in vista delle quali la raccolta continua ad essere ampliata nel tempo. Il dispositivo della lanterna magica, costruita appositamente per condividere la visione dei fotogrammi, assieme alle caratteristiche fisiche dei “prelievi” che il collezionista effettua – o fa effettuare – in cabina di proiezione, delinea il profilo di uno spettatore che va oltre la sola esperienza cinematografica, e insiste nell’operare con le proprie mani sul film, per catturare un istante dal flusso di immagini. I frammenti analizzati infatti, non sempre sono stati ritagliati perfettamente, ed i curatori del FilmMuseum austriaco hanno ipotizzato ad esempio l’utilizzo di semplici forbici senza l’ausilio di un apposito spazio di lavoro (Caneppele, Lepore, 2018, p. 5).
La collezione, per le modalità in cui si presenta oggi, può essere assimilata al modello del lapidarium – come suggeriscono i curatori al momento della valorizzazione – dato il suo carattere di raccolta frammentaria contenente elementi incompleti. Ma guardando alle condizioni costitutive di tale archivio si possono esplorare ulteriori dimensioni ontologiche: in origine infatti, i fotogrammi non sembrano essere stati conservati primariamente con l’intento di sfuggire alla loro distruzione «non solo inevitabile ma necessaria», secondo la definizione che Paolo Cherchi Usai fornisce dell’usuale destino cui per molto tempo sono state soggette le pellicole cinematografiche una volta esaurito il loro valore commerciale (Cherchi Usai, 1999, p. 41). L’estrapolazione dei ritagli di pellicola sembra essere stata effettuata invece secondo la volontà di costruire una nuova successione di immagini ritrovate, alle quali poteva essere affidata una funzione memoriale ed emotiva, e alla cui preservazione era associata l’esibizione, attraverso il dispositivo ottico auto-assemblato.
Negli stessi anni in cui la collezione prendeva vita, il mondo dell’arte sperimentava le tecniche del collage, con gli esempi dei papiers collés dei cubisti Braque e Picasso, in cui l’opera è composta da materiali preesistenti assemblati in un’ottica di riuso. Riprendendo le riflessioni di Cherchi Usai, la separazione dei fotogrammi dai rulli originari sembra quindi non costituire il tentativo di un «impossibile fissaggio di quanto è per natura soggetto a mutazione continua» (Cherchi Usai, 1999, p. 42), bensì l’ennesima derivazione delle molteplici manifestazioni dell’immagine impressa su pellicola: nel caso esaminato, il distacco non evita la distruzione del film, o comunque non è questa la preoccupazione primaria di chi ritaglia i frammenti, ma garantisce ugualmente nuovi scopi agli elementi raccolti.
Tale posizione nei confronti dell’immagine e del suo utilizzo, risulta affine ai lineamenti di quella figura che Claude Lévi-Strauss individua come bricoleur (Cfr. Lévi-Strauss, 1979, pp. 29-35). Caratteristica fondamentale della pratica del bricolage è, secondo l’antropologo francese, il configurare la propria azione in base ad un insieme di materiali precostituito, senza perseguire un progetto, al fine di inventariare e definire un nuovo corpo da realizzare. In tal modo, attraverso un’operazione semantica, corrispondente al raccoglimento di determinati “residui di opere umane” (Lévi-Strauss, 1979, p. 32), prendono forma nuovi archivi e messaggi. Il collezionista-bricoleur quindi, non effettua un’operazione esclusivamente meccanica, ma organizza su un livello espressivo ciò che ha selezionato. Il nuovo collage frammentario, definito dalle scelte del suo autore, fornisce immancabilmente una testimonianza dell’individualità e del repertorio culturale di quest’ultimo.
Il raccoglimento apparentemente disordinato, suggerito dall’incompleta classificazione dei fotogrammi all’interno della collezione Schlemmer, risulta incomprensibile dunque proprio perché frutto di uno sguardo soggettivo, che cataloga frammenti di pellicola secondo impressioni e suggestioni affettive e non sotto un’ottica prettamente archivistica: l’anonimo collezionista conserva sì i propri “reperti”, ma con l’intenzione di proiettarli per rivivere lo stupore e richiamare le sensazioni provate anni addietro. L’elevata disorganizzazione complessiva della raccolta rimane quindi soltanto apparente: a chi osserva oggi i suoi elementi non mancano solo le informazioni anagrafiche dei rispettivi film di appartenenza, ma anche le qualità che hanno colpito il bricoleur in un preciso momento della sua esistenza, e che costui ha amato rievocare anche in età adulta – contestualizzando storicamente gli estremi cronologici della collezione, si definisce la vita di una persona che ha vissuto entrambi i conflitti mondiali, crescendo nell’area di influenza dell’ex-Impero Austro-Ungarico.
L’esperienza odierna della collezione si configura perciò come una duplice scoperta: da un lato il corpus si presenta come una preziosa risorsa testimoniale di pellicole perdute, che sopravvivono grazie alla conservazione che è stata loro garantita; dall’altro, le relazioni tra i frammenti costituiscono una sorta di autobiografia per immagini, di autore sconosciuto, ma da cui possono emergere punti di appiglio utili per svelare nuovi significati e fare sfuggire i fotogrammi dalla propria dimensione orfana.
La collezione Schlemmer. Emergenze: frame collection e temporalità ritrovate
L’atlante: un modello di valorizzazione
Precedentemente si è visto come, al fine di valorizzare la collezione Schlemmer, il FilmMuseum austriaco abbia reso accessibile in rete l’intero insieme di fotogrammi. La conseguente possibilità di “scavare” tra i numerosi elementi catalogati non soltanto assicura un elevato potenziale di accesso ai frammenti esposti digitalmente, ma costituisce anche l’apertura verso una nuova funzione della collezione. Oltre al concetto di lapidarium, che guarda al materiale conservato in quanto reperto superstite, incompleto, di un oggetto perduto, l’archivio di immagini in esame può essere inteso anche utilizzando il modello dell’atlante.
L’indicizzazione dei fotogrammi scansionati permette infatti di effettuare ricerche tematiche le quali, assieme alle opportunità di conoscere i dati relativi all’identificazione o di inserire informazioni nel caso si tratti di materiale non ancora riconosciuto, permettono l’esplorazione selettiva dell’archivio. L’atlante di immagini può così rivelarsi un compendio di informazioni riguardo al cinema degli anni Dieci, fornendone una panoramica sulle tecniche di ripresa e di colorazione, o sui canoni estetici che caratterizzano la messa in scena. In questo senso, l’azione di salvataggio effettuata dal collezionista, trova oggi una continuazione: i fotogrammi della sua raccolta potranno rivelarsi utili per l’identificazione futura di pellicole riscoperte. L’operazione dell’anonimo appassionato, che nel corso di tutta la sua vita ha selezionato e conservato frammenti di film, dà anche un’ulteriore connotazione all’insieme di immagini: come si è visto, i criteri che hanno determinato il distacco dei fotogrammi sono stati puramente affettivi. La mano che ha curato il ritaglio e l’organizzazione degli elementi non ha agito seguendo un interesse storiografico o filologico, bensì ha assecondato le impressioni di uno spettatore affascinato dalla visione. L’esperienza attuale della collezione non può non risentire di questo carattere intimo, proprio perché esso costituisce l’origine della raccolta. Osservando e selezionando oggi il corpo della Schlemmer Frame Collection, si ha a che fare quindi con un atlante personale le cui immagini possono essere colte seguendo la stessa affezione che ne ha garantito la sopravvivenza.
Bibliografia
CANEPPELE, P.; LEPORE, M. (2008), The Schlemmer Frame Collection. Cataloguing Method and Identification Strategies, FilmMuseum Wien, Vienna
CHERCHI USAI, P. (1999), L’ultimo spettatore, Il Castoro, Milano
LEVI-STRAUSS, C. (1979), Il pensiero selvaggio [1962], Il Saggiatore, Milano
Sitografia
FilmMuseum – Schlemmer Frame Collection,
https://www.filmmuseum.at/en/collections/special_collections/schlemmer_frame_collection (ultima consultazione: maggio 2020).
Ringraziamenti
Si ringrazia Paolo Caneppele per la cortese disponibilità e le numerose informazioni a proposito della collezione Schlemmer.